Gli strumenti a disposizione dei patogeni non smettono mai di stupirci. Dopo gli studi sulla vita sociale dei virus, ora una ricerca fa luce su come i batteri impieghino l'equivalente del nostro senso del tatto per testare la natura delle superfici che incontrano.
La scoperta pubblicata su Science potrebbe avere ripercussioni importanti per la salute pubblica: il contatto dei batteri con le superfici stimola infatti la formazione di biofilm, aggregazioni di microrganismi simili a pellicole adesive, particolarmente difficili da debellare e correlati al fenomeno della resistenza agli antibiotici.
In avanscoperta. Per tastare le superfici e "capire" se sono adatte a formare un'aggregazione complessa, i batteri utilizzano i pili, sottilissime appendici proteiche che estendono e ritraggono in modo dinamico dalla cellula. Quando i pili "lanciati" a tastare i dintorni incontrano una superficie, smettono di muoversi, e il batterio inizia a produrre una sostanza appiccicosa - una sorta di bioadesivo - che serve come collante per il biofilm.


Ha abboccato! Il meccanismo ricorda quello sfruttato dai pescatori: è la resistenza al movimento di ritrazione dei pili che indica che il batterio ha "toccato qualcosa" e che è il momento di produrre adesivo.
I ricercatori dell'Università dell'Indiana hanno allora ideato una tecnica per ingannare i pili di un batterio non patogeno, il Caulobacter crescentus, e simulare il contatto con una superficie.
Un ostacolo. Usando una molecola più grande dei pili, chiamata maleimide, gli scienziati hanno impedito alle appendici di ritrarsi ed estendersi di nuovo: l'effetto è simile a quello che otteniamo facendo un nodo a un filo, in modo che non possa più passare dai buchi di un bottone. In risposta alla tensione percepita, i batteri hanno iniziato a produrre bioadesivo.
Spiati da vicino. Con l'aiuto di sostanze fluorescenti è stato possibile osservare in diretta la formazione del biofilm e il movimento dei microscopici tentacoli, senza modificare il comportamento dei microbi. La tecnica è stata quindi sfruttata anche per studiare i pili del Vibrio cholerae, il batterio all'origine del colera, e comprenderne la virulenza.