Un esperimento corale che ha coinvolto oltre centomila volontari da tutto il mondo è l'ultimo, in ordine di tempo, a confermare la validità dell'entanglement (per approfondire), l'idea cioè che particelle distanti quanto si vuole possano passarsi istantaneamente informazioni sul loro stato quantistico, in una forma molto particolare di teletrasporto.
Il 30 novembre 2016 il gruppo di citizen scientists arruolato per il test ha prodotto, usando il proprio smartphone o computer, bit imprevedibili e totalmente casuali di informazione: sequenze impredicibili di valori 0 e 1 che sono state usate per calibrare le misurazioni in una serie di test quantistici condotti in 12 diversi laboratori nel mondo. I risultati dell'esperimento sono stati ora pubblicati su Nature.
I test alimentati dai volontari sono chiamati test di Bell, in onore del fisico nordirlandese del 20esimo secolo John S. Bell. Lo scienziato si chiedeva se gli oggetti del mondo reale, incluse le particelle elementari, avessero proprietà intrinseche che esistono indipendentemente dal fatto che si misurino. Per le teorie quantistiche, non ne hanno: misurare le proprietà di particelle non rivela un valore preesistente, piuttosto ne "crea" uno. Per questa ragione il fisico danese Niels Bohr (1885-1962) riteneva che il risultato di misurazioni quantistiche fosse totalmente casuale.
L'idea non piaceva ad Albert Einstein: il fisico definiva l'entanglement "una spaventosa azione a distanza": poiché nulla - nemmeno le informazioni tra particelle - può viaggiare più velocemente della luce, ci deve essere qualcos'altro a determinare il trasferimento di informazioni tra due fotoni "connessi". Forse, suggeriva Einstein, istruzioni nascoste e intrinseche che governano l'attività di queste particelle.
La formula classica. Nei test di Bell, coppie di particelle entangled, come appunto coppie di fotoni, vengono generate e dirette verso punti diversi, dove si misurano le loro proprietà (come il colore o il momento di arrivo). Se le misurazioni coincidono, nonostante la distanza, le possibilità sono due: o la misurazione di una particella influenza istantaneamente anche l'altra, oppure le proprietà intrinseche non esistono e sono create dalla misurazione stessa - che sarebbe come dire che il vostro peso non esiste finché non decidete di salire su una bilancia.
Entrambe le possibilità contraddicono l'ipotesi del realismo locale di Einstein, l'idea cioè che l'Universo abbia proprietà intrinseche che non dipendono dalle nostre osservazioni, e che un oggetto possa essere influenzato soltanto da ciò che si trova nelle sue immediate vicinanze.
Il test di Bell è stato compiuto svariate volte, e tutti i casi pubblicati hanno confermato le teorie quantistiche, mettendo in discussione il punto di vista di Einstein.
Negli esperimenti tuttavia c'era un problema ricorrente: i risultati non possono essere sorprendenti, se le misurazioni da fare su ogni particella entangled possono essere predette in anticipo. Come sottolineava il fisico Erwin Schrödinger nel 1935, sarebbe come sorprendersi che uno studente abbia passato brillantemente un esame, avendo letto le domande in anticipo. Ma come far sì che la selezione delle misurazioni sia la più casuale possibile?
Decidete voi. Da questa domanda è nata l'idea del BIG Bell Test: compito dei volontari è stato quello di usare il proprio libero arbitrio per produrre bit di informazione volutamente casuali - se davvero siamo capaci di scelte spontanee e non predeterminate, allora almeno una frazione di quelle sequenze di 0 e 1 doveva fornire istruzioni indipendenti e non predicibili dagli scienziati, senza essere influenzata da altre variabili negli esperimenti.
Poiché l'uomo non è esattamente una specie imprevedibile, speciali algoritmi hanno di volta in volta analizzato le stringhe prodotte dai volontari in una sorta di videogame, e hanno provato a predire quella successiva, invitando gli utenti con un feedback in tempo reale a sforzarsi di renderla ancora più imprevedibile.
Scusa, Albert! I bit di informazione generati - quasi 100 milioni in un giorno - sono stati inviati a laboratori di tutto il mondo, dall'Australia a Shanghai, da Vienna a Barcellona, a Buenos Aires, dove i numeri hanno determinato quali misurazioni dovessero essere effettuate sulle particelle analizzate (in genere coppie di fotoni in diversi setup sperimentali). I risultati hanno confermato l'entanglement anche a partire da misurazioni davvero casuali e imprevedibili, dettate dalla volontà di migliaia di volontari.