Due diverse forme di sostegni sottomarini per arrestare lo scorrimento di un vulnerabile ghiacciaio antartico danno un'idea di quanto drammatiche si siano fatte le nostre prospettive dinnanzi agli effetti dei cambiamenti climatici.
Il ghiacciaio Thwaites è un ampio e veloce ghiacciaio di 120.000 chilometri quadrati che fluisce nella Baia Pine Island, sul Mare di Amundsen. Sta scivolando verso l'acqua a una velocità superiore ai 2 chilometri all'anno in corrispondenza della sua linea di galleggiamento (quella da cui il ghiaccio inizia a protendersi in mare) e un suo eventuale collasso potrebbe innescare un effetto a catena nell'Antartide occidentale, determinando un innalzamento globale del livello dei mari di 3 metri.
Per questo sul numero di The Cryosphere (la rivista della European Geophysical Union) del 18 settembre, sono comparsi due piani ingegneristici senza precedenti, più imponenti di quelli per i canali di Panama e di Suez, per puntellare la parte di questo ghiacciaio che si estende in mare, e proteggerla dalle correnti di acqua calda che ne accelerano la fusione. I progetti al momento puramente teorici, sono frutto di un lavoro coordinato da Michael Wolovick, ricercatore del Geophysical Fluid Dynamics Laboratory all'Università di Princeton (USA).
Colonne d'Ercole. Il primo e più "modesto", ma ugualmente estremo, per gli scenari attuali, prevede di sostenere l'ice shelf del Thwaites con alcune colonne sottomarine delle dimensioni della Tour Eiffel, ancorate al fondale e realizzate con materiale roccioso ricavato dalla piattaforma continentale. Queste strutture avrebbero il pregio di fornire supporto alla lingua di ghiaccio, senza però ripararla dalle correnti calde. Offrirebbero il 30% di probabilità di rallentare la disgregazione del ghiacciaio in modo significativo.
La seconda proposta è una barriera alta un centinaio di metri, che scorra per 80-120 chilometri sotto la piattaforma di ghiaccio, e che possa impedire all'acqua oceanica più calda di eroderla dal basso. Questa seconda soluzione avrebbe il 70% di probabilità di successo, ma costerebbe centinaia di miliardi di dollari. Nessuna delle idee ventilate è, comunque, di attuale e possibile realizzazione. Scopo dello studio è, piuttosto, suscitare un dibattito all'interno della comunità scientifica.
L'importante è che se ne parli. L'intero lavoro si basa sul presupposto che un taglio alle emissioni di CO2, benché necessario e inevitabile, non darà effetti abbastanza rapidi da proteggere le comunità costiere dall'innalzamento del livello dei mari. Groenlandia e Antartide occidentale, più esposti agli effetti del riscaldamento globale, contengono insieme acqua ghiacciata sufficiente a sollevare la linea di confine degli oceani di 12 metri.
Non ci sono scuse. Al di là delle difficoltà tecniche ed economiche nella realizzazione dei progetti, il rischio di queste ambiziose soluzioni è che vengano usate come alibi per limitare la riduzione di gas serra: eppure anche il ghiacciaio meglio puntellato del mondo fonderebbe, se le temperature continueranno salire.
Inoltre barriere e colonne rallenterebbero forse lo scivolamento, ma non altre conseguenze del global warming come ondate di calore, acidificazione dei mari ed eventi climatici estremi. «Più anidride carbonica emettiamo - dicono gli autori - meno probabilità ci sono che gli ice sheet sopravvivano nel lungo periodo».