Uno scheletro fossile quasi completo ritrovato nelle grotte di Sterkfontein, in Sudafrica, avrebbe un’età di 3 milioni e 670mila anni: sarebbe perciò il più vecchio ominide trovato finora sulla Terra. È questa la scoperta del geochimico Darryl Granger, della Purdue University di West Lafayette.
Il fossile, soprannominato Little Foot, apparterrebbe a una nuova specie chiamata, per il momento, Australopithecus prometheus. Lo scheletro è stato trovato negli anni Novanta, ma finora si pensava che esso non potesse essere più vecchio di 3 milioni di anni. La nuova ricerca fa di questo essere un contemporaneo di Lucy, ossia degli afarensis, che vivevano in Africa, ma più a nord, tra i 4 e i 3 milioni di anni fa.
«La nuova datazione di Little Foot ci dice e ci ricorda che in Africa dovevano esistere più specie di Australophitecus di quelle che conosciamo oggi, indipendenti le une dalle altre», ha sottolineato Ronald Clarke, dell'università di Witwatersrand (Johannesburg, Sudafrica).
La datazione grazie agli atomi radioattivi. La difficoltà nel datare lo scheletro stava nel fatto che venne estratto da strati di roccia che furono più volte dilavati dall’acqua e quindi non era chiaro se Little Foot si trovava nello strato di rocce dove morì , fosse cioè autoctono, o se venne trasportato in rocce più antiche dall’acqua stessa, ossia alloctono.
Ora c'è la certezza - stando ai ricercatori, il cui studio è stato pubblicato da Nature - che lo strato in cui si trovava il fossile è quello originario. A tale conclusione sono arrivati grazie allo studio di atomi radioattivi di alluminio e berillio, e di quelli derivati dal loro decadimento (ossia dalla loro trasformazione in altri atomi), che ben 9 campioni di quarzo circostanti lo scheletro "raccontano" che non vi fu trasporto.
QUALCHE DUBBIO. La scoperta, se confermata, sarebbe di grandissimo valore in quanto vorrebbe dire che specie diverse, ma simili, sorsero quasi contemporaneamente in diverse parti dell’Africa. La conclusione tuttavia, non convince tutti i paleontologi: «Da un lato vi è il fatto che la maggior parte dei reperti trovati in quella zona sono più giovani di 3 milioni di anni e poi vi è il discorso del dilavamento dell’acqua, che sembra non essere stato del tutto risolto», commenta Andy Herries, di La Trobe University di Melbourne (Australia).