Era già successo prima del terremoto di Sumatra: nel 2004 una serie di sismi con magnitudo prossima a 8.0 o poco più precedettero quello del 26 dicembre, quando si scaricò il sisma di magnitudo 9.1 e il relativo tsunami che causò la morte di 200.000 persone.
Ora, dopo il terremoto di magnitudo 7.5 che ha colpito la Nuova Zelanda domenica 13 novembre e che ha prodotto anche onde di tsunami di 2,5 metri, si teme che lo stress cui è stata sottoposta la crosta terrestre possa scaricarsi in scosse ancora più violente lungo le faglie che interessano gran parte del Paese.


Quanto probabile? Spiega John Ristau, geofisico, GNS Science, società neozelandese di ricerche geofisiche e geologiche: «Al momento stimiamo che ci sia il 12% di probabilità che possa accadere un terremoto con magnitudo 7.0 o più grande entro pochi giorni, mentre le probabilità salgono al 32% se consideriamo i prossimi 30 giorni».


Tuttavia è impossibile sapere se un sisma carica o meno energia su altre fratture: lo stesso ricercatore ammette che terremoti come l'ultimo avvenuto in Nuova Zelanda possono sia aumentare il rischio di un altro sisma nelle vicinanze (e in questo caso potrebbe anche essere più violento), sia diminuirne le probabilità.
La Nuova Zelanda si trova proprio sopra il confine tra le placche tettoniche australiana e pacifica, ed è perciò da considerarsi zona altamente sismica. L'ultimo terremoto ha provocato uno slittamento laterale di una parte dell'isola meridionale. Dopo la scossa principale ci sono state più di 300 repliche, la metà delle quali di magnitudo superiore a 4.o superiore: la maggiore è stata di magnitudo 6.3.