Nel tentativo di ricostruire l'origine evolutiva delle cellule del cuore umano, un gruppo di scienziati è arrivato a indagare in un luogo improbabile: nel DNA di un organismo che non ha muscoli né cuore. Nell'apparato digerente di un anemone di mare, la Nematostella vectensis, si trovano geni noti per formare le cellule del cuore nell'uomo e in altri animali.
Questa creatura acquatica imparentata con meduse e coralli è interessante anche per un altro motivo: tagliata in molte parti, è capace di rigenerarsi dando origine ad altrettanti nuovi organismi. Un super-potere che risulta, per noi, particolarmente interessante.
Il buon esempio. Nel cuore umano, l'unica rigenerazione cellulare che avviene - molto lentamente - è quella delle cellule muscolari esterne. Per il resto, ogni danno subito è permanente e destinato a formare una piccola cicatrice. Ma se i geni sono gli stessi dello stomaco dell'anemone, perché questo si rigenera e il nostro cuore no?
Quello che cambia, hanno scoperto gli scienziati dell'Università della Florida, è il modo in cui i geni comunicano tra di loro.
Versatili. Nei vertebrati, una volta che i geni vengono espressi, si danno vicendevolmente istruzione di rimanere nelle cellule dell'animale. In altre parole una cellula del cuore rimarrà tale per sempre e non potrà trasformarsi in altro nel corso della vita. Ma negli embrioni dell'anemone di mare questo blocco non esiste. Le cellule sono libere di trasformarsi in qualunque altro tipo sia necessario rimpiazzare in quel momento.
Radice comune. L'ipotesi è che le cellule muscolari della maggior parte degli animali abbiano avuto origine da cellule analoghe a quelle dell'apparato digerente degli anemoni di mare: anche se non somigliano a un cuore pulsante, queste osservano infatti un movimento per contrazioni progressive simile a quello del cuore e non molto diverso dai movimenti peristaltici che ci permettono di digerire. Comprendere il modo di comunicare dei geni che le controllano potrebbe servirci, un giorno, a mettere a punto strategie di rigenerazione del tessuto cardiaco danneggiato.