Pelle marrone chiara, naso mediterraneo, occhi e capelli scuri: sono le caratteristiche dei volti di tre antichi egizi mummificati, maschi di circa 25 anni di età, vissuti in diversi periodi a partire da circa 2.800 anni fa. Li hanno ricreati al Parabon NanoLab, in Virginia (Usa), dove per la prima volta è stato possibile risalire all'aspetto di persone vissute così indietro nel tempo utilizzando dati derivanti da mappature genetiche complete. Si tratta di "tipi" mediorientali, ma più simili agli abitanti del Vicino Oriente che agli egiziani moderni.
Nessun ascendente africano. Il loro genoma nucleare era stato estratto e sequenziato nel 2017, al Max Planck Institute di Jena (Germania), da mummie rinvenute ad Abusir el-Meleq, la città sacra di Osiride (dio dei morti e dell'imbalsamazione).
Gli esperti del Parabon NanoLab hanno fatto il passo successivo con la fenotipizzazione del DNA (Snapshot DNA Phenotyping), metodo d'indagine forense relativamente recente che consente di ricostruire l'aspetto di una persona ignota dal sequenziamento genetico, testando milioni di polimorfismi associati a particolari tratti fisici, combinandoli con metodi statistici per risalire alla discendenza del soggetto da un determinato gruppo etnico e di parentela.
Il lavoro, presentato all'International Symposium of Human Identification di Orlando, in Florida, porta a implicazioni di ordine storico: i tre volti non presentano tratti di origine africana, a conferma della tesi che la civiltà egizia aveva provenienza mediorientale. Una conclusione già avanzata sempre nel 2017 con l'estrazione e il sequenziamento, al Max Planck, non solo del genoma nucleare dei tre soggetti, ma anche di quello mitocondriale (che si tramanda in linea solo materna) di 90 mummie che coprono un arco di tempo compreso fra il 1388 a.C e il 426 d.C., tutte provenienti da Abusir el-Meleq e conservate nei musei di Tubingen e di Berlino.
Giuseppe l'Egiziano. Tali risultati indicano che la biblica Terra di Canaan non fu solo luogo di emigrazione, quando si presentavano siccità e carestie, verso la fertile valle del Nilo (come si evincerebbe dalla storia del patriarca Giuseppe o dai movimenti in massa degli Hyksos), ma che la stessa civiltà egizia venne fondata da genti provenienti da Oriente. Infatti, mentre il DNA estratto dalle mummie è collegato a quello delle popolazioni del Vicino Oriente e neolitiche dell'Anatolia (Asia Minore, parte dell'odierna Turchia), non presenta caratteristiche sub-sahariane. Queste si trovano invece nel DNA degli egiziani attuali, ma risalgono ai tempi della diffusione dell'Islam e della tratta degli schiavi.
I ricercatori hanno visto che nemmeno l'epoca Tolemaica (332 a.C.-30 a.C.), con l'arrivo dei greci, e la dominazione Romana (30 a.C-395 d.C) scalfirono l'omogeneità genetica di stampo mediorientale degli antichi Egizi. Si consolida quindi il quadro "diffusionista" (la civiltà arrivata dal Vicino Oriente), con buona pace della letteratura "panafricana" secondo cui l'Antico Egitto sarebbe invece una realtà locale, nata a partire dalla scoperta dell'agricoltura nelle oasi dell'attuale deserto egiziano (come Farafra) ed evoluta lungo il Nilo. Lo scenario diffusionista, da parte sua, non esclude che fra gli elementi vicino-orientali che costituirono la civiltà egizia ci fossero anche palestinesi e antenati degli ebrei.