Alcune estinzioni di specie animali e vegetali non sono opera dell'uomo: potreste leggerla come una notizia consolante, se non fosse che le cause principali di quelle estinzioni sono le specie "esotiche", ossia di nuova introduzione nell'ambiente di quelle che infine sono scomparse o quasi scomparse. Specie aliene introdotte casualmente o volontariamente dall'uomo: perciò ecco, i cattivi siamo comunque noi.
Uno studio condotto da un team di ricercatori dell'University College London, pubblicato su Frontiers in Ecology and the Environment (sommario), usa i dati delle specie in estinzione dell'edizione 2017 della IUCN Red List of Threatened Species (attualmente alla versione 2018-2) e dà un quadro nuovo e asetticamente desolante di una situazione che si trascina da almeno cinque secoli.
In questo intervallo di tempo le specie alloctone (aliene all'ambiente in cui vengono a trovarsi) sono state la causa principale, quando non unica, dell'estinzione di animali e piante autoctone (locali). Dal 1500 a tutt'oggi molte specie evolute in luoghi lontani da dove sono poi arrivate, sono state direttamente responsabili della scomparsa di 123 specie (il 13% delle 953 estinzioni globali studiate) e variamente responsabili dell'estinzione di altre 400 specie (il 42%).
Le specie aliene animali sono state più "attive" nell'opera di sterminio, con il 33,4% di estinzioni causate, contro il 25,5% delle specie vegetali aliene: i vegetali locali hanno insomma saputo difendersi meglio degli animali dalle invasioni. Il ruolo delle specie locali sull'estinzione di altre specie locali è stato invece trascurabile: il 2,7% per gli animali e il 4,6% per i vegetali. «Diverse ricerche precedenti», afferma Tim Blackburn, responsabile dello studio, «lasciavano intendere che le cause di estinzione non fossero mai da imputare esclusivamente a specie aliene: la nostra ricerca dimostra con certezza il contrario.»
In realtà l'IUCN aveva da tempo incluso le specie esotiche tra le cause dirette di estinzione di specie locali (animali e vegetali), soprattutto di quelle endemiche (che vivono in una regione limitata), con un impatto addirittura prevalente rispetto alle alterazioni ambientali causate, per esempio, dall'espansione dell'agricoltura. Lo studio dell'University College London dà adesso certezze scientifiche al lavoro dell'International Union for Conservation of Nature.
In generale, le specie aliene che colonizzano con successo un nuovo mondo, ci riescono perché si ritrovano in un ambiente favorevole e privo dei loro predatori naturali. Le migrazioni possono essere casuali e involontarie, veicolate per esempio dal traffico marittimo, oppure deliberate, o frutto di attività commerciali.
Questo vale per gli animali, ma anche e soprattutto per le piante - introdotte per nuove coltivazioni (semi, oppure piante già sviluppate, come nel caso del caffè) o anche solamente per bellezza - magari col loro carico di parassiti alieni sotto forma di uova - e riescono a mettere in crisi o soppiantare le specie locali perché non hanno difese per quei parassiti, oppure con radici più tenaci, o perché sono più alte e tolgono spazio vitale o più colorate e catalizzano gli impollinatori, per fare qualche esempio.
Tutto ciò può sembrare lontano dall'esperienza comune, almeno finché non si inizia a parlare della scomparsa di una specie di alberi, di una qualità di mele, di una razza bovina, di un particolare foraggio, di una rosa...
Per dare più protezione alle specie locali è necessaria una maggiore consapevolezza della catena di eventi innescati dall'introduzione incontrollata di una nuova specie, e soprattutto occorre lavorare meglio per garantire biodiversità e biosicurezza. È un tema complesso e, sul versante dei controlli, molto costoso, perché implica una capacità di "sorveglianza dei confini" (porti, aeroporti, strade, ferrovie, grande distribuzione, negozi al dettaglio...) capillare e con personale altamente specializzato.