Fuoco, vento, freddo... tutte cose con cui l'uomo di neanderthal doveva confrontarsi tutti i giorni, ma che non avrebbe potuto nominare (perlomeno, non in italiano). Questo perché, secondo uno studio pubblicato su Science, l'essere umano non è sempre stato capace di pronunciare tutti i suoni che conosciamo oggi: per via della diversa conformazione della bocca mancavano, per esempio, le cosiddette fricative labiodentali sorde (come la F) e sonore (la V), così chiamate perché vengono pronunciate unendo labbro inferiore e arcata dentale superiore, operazione impossibile per molte specie di Homo prima di noi.
«Possiamo affermare con ragionevole certezza che fino al Neolitico questi foni non esistevano», afferma Balthasar Bickel, linguista all'Università di Zurigo, uno degli autori dello studio.
Che cosa è cambiato. Alcuni suoni, come appunto la F e la V, sarebbero arrivati dopo la nascita dell'agricoltura e la sua diffusione, 10-12.000 anni fa (ma alcuni ricercatori ritengono che andrebbe retrodatata a 20-22.000 anni fa). In qualche migliaio di anni, nuove abitudini alimentari, con i relativi cambiamenti nella masticazione, avrebbero cambiato la struttura della mandibola degli uomini, rendendo possibili nuovi suoni.
Prima del Neolitico (l'ultimo periodo dell'Età della Pietra, attorno a 10.000 anni fa) prevaleva il morso edge-to-edge (bordo su bordo): l'arcata dentale superiore non sovrastava quella inferiore, ma i denti si toccavano fra loro con i margini incisivi. Con il passaggio all'agricoltura e a cibi più "morbidi", il morso cambiò diventando overjet e overbite (l'arcata dentale superiore spostata in avanti di qualche millimetro rispetto a quella inferiore): questa conformazione, che consente di portare il labbro inferiore a contatto con l'arcata dentale superiore, avrebbe favorito la nascita di suoni come "F" e "V".
«La ricerca dimostra che un cambio culturale può avere ripercussioni sulla nostra biologia, per esempio influenzando la lingua che parliamo», sottolinea la studiosa di morfologia evoluzionista Noreen Von Cramon-Taubadel, dell'Università di Buffalo (Usa).
Dubbi e altre ipotesi. Nel mondo scientifico c'è però chi ha manifestato scetticismo, come il paleobiologo Jordi Marcé-Nogué. Il ricercatore sostiene che i nostri antenati ominini cuocevano gli alimenti per renderli più morbidi molto prima dell'introduzione dell'agricoltura. Questa pratica, nata da un'idea (quindi da un "pensiero evoluto"), avrebbe col tempo portato a una nuova forma del cranio e della mandibola, favorendo la nascita di nuovi suoni del linguaggio, ma... «che cos'è mutato prima, il cervello o il linguaggio?», si chiede Marcé-Nogué, rifacendosi ad autorevoli ricerche precedenti.
Altri studi ancora, inoltre, ipotizzano che l'agricoltura si sia diffusa molto prima del Neolitico, forse anche oltre 20.000 anni fa, e se così fosse i conti non tornerebbero.
In più, lo studio di Bickel e colleghi mette in discussione una delle più consolidate certezze dei linguisti, il cosiddetto principio dell'uniformitarismo, che adattato al contesto afferma che l'abilità umana di utilizzare il linguaggio non è cambiata dalla comparsa del linguaggio stesso. Vedremo come gli studi di linguistica risponderanno ai quesiti aperti dalle ipotesi di questa ricerca.