Scienze

L'abbigliamento nella preistoria: la pellicceria di Adamo

La scoperta in Marocco di una caverna dove si confezionavano capi di pelle conferma l'idea che l'uomo iniziò a vestirsi molto indietro nella preistoria. Ma perché siamo nati senza pelo e ci siamo dovuti coprire?

Da quanto tempo l'uomo si veste? Da almeno 170 mila anni, indicano gli studi genetici sui pidocchi dei vestiti: risale infatti a quel periodo la specializzazione di un contingente di pidocchi della testa che trovò più conveniente migrare nei vestiti per infestare da lì la pelle degli umani. Ora però ci sono prove più dirette: le analisi del Max Planck Institute su ossa di animali e strumenti risalenti a 120 mila anni fa, trovati nella grotta di Contrebandiers, sulla costa atlantica del Marocco, hanno permesso di ricostruire le attività di una pellicceria (e pelletteria). Non di trovare la "merce", che non poteva conservarsi tanto a lungo, ma gli attrezzi e le ossa fossili degli animali scuoiati.

Il fatto che in quella regione non facesse tanto freddo indica che da un pezzo l'umanità aveva iniziato a vestirsi, e che forse gli abiti erano già caratteri distintivi delle diverse comunità, per forma o anche per tipo di animale utilizzato. In particolare, le prove che nella caverna vi fosse una pelletteria derivano da strumenti in osso fabbricati in modo da fungere da raschiatoi con terminali rotondi per non bucare le pelli. I resti di animali - volpe del deserto, gatto selvatico e sciacallo dorato - mostrano sulle ossa delle zampe, di mandibole e mascelle segni di tagli che manifestano l'intenzione di scuoiarli preservando l'integrità delle pelli, come facevano gli indiani d'America e i cacciatori di pellicce bianchi del Canada.

Attrezzi d'osso. L'archeologa Hemily Hallet, prima firmataria dello studio apparso su iScience, ha raccontato di avere esaminato 62 utensili in osso, fra cui bulini e altri a forma di spatola. Un dente di capodoglio serviva da percussore, cioè a scheggiare per ottenere gli utensili da pellicceria desiderati. «Questo ritrovamento riconduce ai raschiatoi di pietra di tanti siti del Paleolitico, a indicare che la concia delle pelli non doveva solo riguardare la fabbricazione di stuoie, sacche per trasporto, contenitori per acqua e cibo, ma in modo particolare il vestiario. Tanto più utile all'uomo di Neanderthal, che non sarebbe durato oltre 250 mila anni nell'Europa glaciale senza pellicce. I suoi denti incisivi vengono spesso trovati consumati, segno che, come gli Inuit dell'Artico, conciava le pelli usando anche la bocca. Il vestiario deve poi essere stato decisivo per l'Homo sapiens, proveniente dall'Africa, nella sua diffusione in Siberia e in Nord Europa.»

Denti di capodoglio, utilizzati per modellare altri strumenti: i riquadri evidenziano le tracce lasciate dalla lavorazione.
Denti di capodoglio, utilizzati per modellare altri strumenti: i riquadri evidenziano le tracce lasciate dalla lavorazione. © Emily Y. Hallet et all. 2021

Sub per vocazione. L'uomo è uno dei pochissimi, fra le oltre 5 mila specie di mammiferi, a non avere pelo o quasi, assieme ai cetacei e a una talpa, l'eterocefalo glabro.

È l'unico senza pelo fra i primati. Come i cetacei e le lontre, è fra i pochi a poter trattenere il respiro volontariamente. Occorre ricordare che se il colore della pelle è un adattamento locale, la mancanza di pelo è un carattere universale, frutto quindi di una mutazione molto antica. Tutto ciò ha fatto ipotizzare che nell'evoluzione umana ci sia stato un periodo acquatico: cioè si stava spesso a bagno in cerca di molluschi, crostacei e pesci. Di questa parentesi risalente forse a 5 milioni di anni fa se ne parlò in un libro dell'antropologa inglese Elaine Morgan e ne fu promotore negli anni '20 Gioacchino Sera, antropologo all'università di Napoli. Più di recente, ritrovamenti di ominini fossili presso i grandi laghi africani, che un tempo avevano sulle loro rive fitte foreste, e la scoperta che l'Africa orientale fu interessata, 5 milioni di anni fa, da una trasgressione marina, hanno insidiato la teoria della savana e convinto l'antropologo sudafricano Phillip Tobias a rilanciare l'idea di un passato acquatico dell'uomo.

In cammino fra le acque. Se la teoria della savana dice che i nostri antenati divennero bipedi per meglio guardarsi in giro dall'alto della stazione eretta, quella acquatica la reputa un adattamento per guadare i corsi d'acqua (anche le scimmie al guado si alzano su due arti) e utile persino per nuotare. Secondo questa teoria, grazie alla pesca in apnea impararono a controllare volontariamente la respirazione, potendo poi permettere a noi di parlare modulando il respiro. Come le foche e i delfini, noi umani abbiamo il grasso sottocutaneo, di cui nessuna scimmia dispone. Che permette ancora oggi ai bambini di avere sufficienti energie per sviluppare un grande cervello.

2 ottobre 2021 Franco Capone
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