È nel 1865, mentre l'Italia unita sta muovendo i primi passi, che arriva, da parte del fisico pisano Antonio Pacinotti, l'annuncio di un colpo di genio i cui effetti si vedono ancora oggi: Pacinotti inventa un sistema che trasforma l'energia cinetica (cioè quella del movimento) in energia elettrica. È la dinamo. La macchina, il cui "cuore" è una spira di filo conduttore che ruota all'interno di un campo magnetico, funziona anche al contrario: alimentata da corrente elettrica continua, si mette in movimento. È dunque anche un motore elettrico, elemento che oggi troviamo in quasi tutti gli apparecchi che hanno parti rotanti, come i computer, i lettori di dischi, i ventilatori e tanti elettrodomestici. Peccato solo che un francobelga (Zénobe Gramme), con cui Pacinotti si confida ingenuamente, gli rubi l'idea e registri il brevetto. E per decenni viene riconosciuto a torto come il "padre fondatore" dell'elettricità.
L'idea non basta. A proposito di "furti di invenzioni", c'è voluto più di un secolo anche per ristabilire la vera paternità, sempre "italica", di un'altra creazione rivoluzionaria – il telefono – per anni attribuita allo scozzese Alexander Graham Bell. In realtà – e anche il Congresso americano lo ha riconosciuto ufficialmente nel 2002 – Bell sfrutta l'intuizione di un fiorentino, Antonio Meucci, un cultore di fenomeni elettrici e magnetici, che nel 1871 mette a punto il telettrofono, un apparecchio elettrico per comunicare a distanza. «Sarebbe però più corretto dire che Meucci scoprì il principio di funzionamento» dice Luca Reduzzi, del Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. «Creò anche alcuni prototipi » aggiunge Reduzzi «ma non arrivò alla produzione dell'oggetto di uso comune. Un passo, questo, che richiede capacità organizzative e abilità imprenditoriali che forse Meucci non possedeva». E che invece, una ventina di anni più tardi, a Guglielmo Marconi non difettano: oltre a scoprire il modo per liberare le comunicazioni (del telefono e del telegrafo) dal vincolo dei cavi, Marconi trova anche i finanziatori (nel Regno Unito, trasporti dove registra una serie di brevetti e una società, la Wireless Telegraph) per mettere in produzione e commercializzare i primi strumenti di trasmissione via radio. È il primo passo verso la radiofonia, oltre che verso il premio Nobel per la fisica, che gli viene assegnato nel 1909.
Pronti al decollo. Se nel campo delle telecomunicazioni (e, in futuro, dell'elettronica) l'Italia ha prodotto importanti innovazioni, in quello dei trasporti ha giocato un ruolo forse ancora più determinante. In tutti i settori. È il 1877 quando Enrico Forlanini, da poco laureatosi in ingegneria al Politecnico di Milano, costruisce un apparecchio a eliche in grado di sollevarsi da terra. È un antenato dell'elicottero, il cui progetto viene abbandonato da Forlanini per realizzare (nel 1905) una particolare imbarcazione dotata di ali che, superata una certa velocità, solleva lo scafo dall'acqua: all'inizio si chiama idroplano, ma successivamente diventerà famoso come aliscafo.
Un'elica in stand-by. Il destino dell'elicottero? Sarà l'ingegnere abruzzese Corradino D'Ascanio, diversi anni dopo, a completare l'opera: ispirato dall'osservazione degli ortotteri (insetti), progetta (e brevetta, nel 1929) un "elicottero a stabilità automatica e comandata". In pratica, un telaio di tubi di acciaio, con due rotori, lungo 13 metri e pesante 800 kg, che si solleva per oltre 8 minuti, percorrendo più di un chilometro in linea retta. Tutti record per l'epoca, eppure per diversi motivi, compresi alcuni contrasti tra D'Ascanio e i suoi finanziatori, il DAT3 (così si chiama il prototipo) resta un pezzo da museo e l'invenzione cercherà (trovandole) maggiori fortune all'estero. Il successo toccherà comunque D'Ascanio, inventore geniale ed eclettico: arriverà a sorpresa grazie a un altro "insetto", ma prima dovrà passare qualche decennio... Nel frattempo, e siamo agli anni che precedono il Secondo conflitto mondiale, nel nostro Paese è un susseguirsi di idee geniali, talvolta destinate semplicemente a migliorare la vita quotidiana, non solo in Italia, ma anche all'estero. Alcuni esempi? Nel 1924 vede la luce la prima vera autostrada della storia (quella "dei Laghi", concepita dall'ingegner Piero Puricelli allo scopo di collegare Milano a Varese, Como e Sesto Calende con un percorso rettilineo, privo di incroci e passaggi a livello), mentre risale al 1933 un'invenzione che rivoluzionerà il modo di preparare il caffè in casa: è la moka, la mitica macchinetta a pianta ottagonale ideata dal titolare di un'officina per la produzione di semilavorati in alluminio, il piemontese Alfonso Bialetti.
Ai piedi dei temerari. Qualche volta sono le tragedie a dare impulso alle innovazioni. Succede nel 1935, quando l'alpinista Vitale Bramani perde sei compagni durante la discesa dalla Punta Rasica, in Valtellina. Tra le cause, le scarpe usate: poco adatte ad affrontare pendii irregolari e coperti di neve. Scosso dall'episodio, in un anno Bramani realizza con la Pirelli una suola in gomma vulcanizzata, scolpita in modo da riprodurre i chiodi dei vecchi scarponi. La battezza prendendo spunto dal suo nome: Vibram, un marchio che ancora oggi è visibile sotto le scarpe di molti appassionati di attività più o meno estreme da alta quota. Qualche volta invece sono le innovazioni stesse a portare - anche in modo non voluto – a grandi tragedie. Un caso su tutti? Siamo sempre nei primi anni Trenta, periodo di grande fermento anche nei laboratori di ricerca delle università. A destare clamore in tutto il mondo sono gli studi del fisico Enrico Fermi, che pongono le basi dell'energia nucleare: Fermi dimostra che, in certe condizioni e con certi elementi, è possibile ottenere energia in modo controllato sfruttando le interazioni tra atomi. Per l'umanità si schiudono possibilità mai sperimentate prima: energia disponibile in grandi quantità e praticamente a costo zero. A Fermi viene conferito il Nobel per la fisica nel 1938. Chissà se inizialmente lo scienziato aveva messo in conto che, tra gli effetti sull'umanità, i suoi studi ne avrebbero avuti anche di disastrosi. Come le bombe atomiche sganciate dagli Usa sul Giappone nel 1945, che decretano la fine della Seconda guerra mondiale.
Rinascita a due ruote. Lascia l'Italia in ginocchio, il conflitto, con quasi tutte le fabbriche rase al suolo dai bombardamenti. Molte oltre al problema di ripartire si trovano quello della riconversione. Come la Piaggio che, dopo aver costruito motori e aerei da guerra, cerca un'idea che possa conquistare gli italiani e rilanciare l'azienda. Enrico Piaggio pensa a "un mezzo economico e pratico [...] su due ruote, ma non la solita motocicletta" e affida il compito a un ingegnere che lavora con lui da qualche anno: quel Corradino D'Ascanio che avevamo lasciato alle prese con gli elicotteri. È il 1945, D'Ascanio si ispira alla sua ormai consolidata esperienza aeronautica e partorisce il progetto di uno scooter dal profilo "aerodinamico", leggero e robusto, semplice da manovrare e con una posizione di guida confortevole. Il nome glielo trova il dottor Piaggio in persona, che ammirandone un prototipo esclama: "Sembra una vespa!". Il resto della storia della Vespa lo conosciamo già: un boom mondiale, con oltre 17 milioni di esemplari venduti.
Chi l'avrebbe detto? Meno clamorosa, ma certamente non meno importante, è l'impronta lasciata dal nostro Paese nel campo dell'elettronica. Quando si parla di personal computer, per esempio, vengono in mente subito marchi come Apple, Ibm, Hewlett Packard. E invece la nascita del pc si deve a un torinese, Pier Giorgio Perotto, che nel 1958 viene assunto dalla Olivetti. Qui realizza il progetto di una macchina programmabile, in grado di elaborare dati, che – a differenza delle concorrenti dell'epoca – sia contenuta negli ingombri e semplice da usare. La chiama Programma 101, ma in suo onore verrà ribattezzata "Perottina", e di lì a qualche anno avrà un clamoroso successo, soprattutto negli Stati Uniti, dove se ne venderanno 40 mila esemplari. Persino colossi come Hewlett Packard se ne interessano, copiandone alcune caratteristiche (ammettendo in seguito di averlo fatto!). Un successo che anticipa di qualche lustro quello del vicentino Federico Faggin, l'artefice per Intel del primo esemplare di microprocessore, il "cervello" a cui sono affidate le capacità di calcolo di un computer. Anche il presidente americano Obama riconoscerà la grandezza di Faggin e, quasi 40 anni dopo, nel 2010, gli conferisce il più alto riconoscimento scientifico statunitense, la National Medal of Technology and Innovation.
Nuovi materiali. Un altro settore che contribuisce alla rinascita del Paese nel Dopoguerra è la chimica, che conosce l'apice a metà anni '50, con Giulio Natta. Specializzato nello studio dei polimeri, l'ingegnere chimico imperiese – laureatosi a soli 21 anni al Politecnico di Milano – scopre il sistema per produrre un materiale plastico economico, dotato di ottime caratteristiche meccaniche: il polipropilene isotattico, che diventerà famoso col marchio Moplen, e verrà impiegato per produrre contenitori, accessori da cucina, tubi ecc. La grandezza di Natta non è legata soltanto ai risultati dei suoi studi (che gli varranno il Nobel per la chimica nel 1963): «Una volta tornato al Politecnico da professore» sostiene l'attuale prorettore dell'ateneo milanese Donatella Sciuto «ebbe il merito di fondare una vera e propria scuola». Non solo. Secondo Luca Reduzzi «Natta fu un precursore perché condusse le sue ricerche non in puro ambito accademico, ma col supporto di un colosso della chimica di allora, la Montecatini. Che, in cambio della "sponsorizzazione", ne sfruttò i risultati per la crescita industriale». Proprio come succede oggi. E 50 anni dopo, non è cambiato nemmeno il ruolo di punta giocato dagli italiani nella chimica. Lo dimostra la storia di Catia Bastioli, una scienziata umbra a cui si deve l'invenzione del Mater-Bi, la "plastica vegetale" ottenuta da sostanze naturali come l'amido di mais o le patate, con cui si producono sacchetti, posate e contenitori facilmente biodegradabili. Nel 2007, per l'Unione Europea, è lei "l'inventore europeo dell'anno".
La ricerca medica. A proposito di premi Nobel: il campo nel quale l'Italia ne ha collezionati di più è la medicina. Spesso sono le ricerche di nostri connazionali a dare un contributo per la comprensione di alcuni principi di funzionamento dell'organismo umano. Notevole, soprattutto, è l'apporto di due biologi: Renato Dulbecco (premio Nobel nel '75), che "svela" i meccanismi con cui i virus tumorali interagiscono con le cellule sane, e Rita Levi-Montalcini (Nobel nell'86) che, dopo 40 anni di studi, scopre il fattore di crescita nervoso (Nfg), aprendo la strada alla cura di alcune malattie del sistema nervoso. Tanto per dimostrare che se in molti casi le "nostre" innovazioni hanno reso più confortevole la vita di oggi, in tanti altri hanno aperto speranze per quella di domani.