Milano, 5 nov. (AdnKronos Salute) - "Basta un poco di zucchero", cantava Mary Poppins nel celebre film della Disney. Ed è quanto ha concluso anche un team di scienziati italiani che è riuscito a frenare il rene policistico, su nuovi modelli di topo della malattia, somministrando alle cellule malate una molecola di zucchero modificata che non può essere spezzata per produrre energia. Un risultato che ora spiana la strada al primo studio clinico, atteso per inizio 2016.
I risultati dello studio condotto dai ricercatori dell'ospedale San Raffaele di Milano, e finanziato dall'Associazione italiana rene policistico e dalla Fondazione Telethon, sono pubblicati sul 'Journal of the American Society of Nephrology'. L'équipe, coordinata da Alessandra Boletta, responsabile dell'Unità basi molecolari delle malattie cistiche renali dell'Irccs di via Olgettina, con il contributo del ricercatore Marco Chiaravalli, ha testato l'efficacia della molecola 2-deossi-glucosio (2Dg) nella regressione o riduzione delle cisti renali. La malattia genetica autosomica dominante, cronica e progressiva porta alla formazione nei reni di cisti che si espandono e si moltiplicano durante tutta la vita, comprimendo il tessuto sano fino a sostituirlo e causando la perdita di funzionalità dell'organo.
Il rene policistico (o Adpkd) colpisce circa 12 milioni di persone in tutto il mondo, 60 mila solo in Italia. Oggi gli unici trattamenti sono la dialisi e il trapianto. Ma la squadra di ricercatori aveva osservato in studi precedenti che la sindrome, causata dalla perdita di funzione del gene Pkd1, è caratterizzata da un difetto intrinseco nella gestione della via della glicolisi, ovvero nella produzione dell'energia cellulare, che rende le cellule fortemente dipendenti dal glucosio. Per questo gli scienziati avevano utilizzato un inibitore della glicolisi, il 2Dg, per rallentare la progressione del difetto renale, utilizzando un modello molto aggressivo di malattia.
Nel nuovo studio i ricercatori hanno testato su 2 nuovi modelli murini di rene policistico l'effetto di 2Dg, una molecola particolare che viene riconosciuta dalla cellula come una 'tradizionale' molecola di glucosio e viene quindi assorbita, ma proprio a causa di una modifica strutturale blocca la via glicolitica rendendo la cellula incapace di produrre energia.
Il trattamento somministrato dagli scienziati, continuo e a basso dosaggio, si è dimostrato efficace e ha portato a un miglioramento del peso dei reni, del loro indice di cistogeneticità e dell'aspetto istologico. "Abbiamo iniziato il trattamento con un volume renale già aumentato e un parenchima compromesso, situazione verosimilmente paragonabile a quella in cui i pazienti dovrebbero entrare in un potenziale ciclo di terapia - spiega Boletta - I risultati ci portano a essere ottimisti sul possibile uso del 2Dg per la regressione o il rallentamento della malattia in pazienti affetti da Adpkd".
Recentemente l'ospedale San Raffaele ha vinto un finanziamento ministeriale che consentirà all'Unità diretta da Boletta, e in particolare al coordinatore del progetto, Riccardo Magistroni, di partire agli inizi del 2016 con il primo studio clinico di 'safety' dell'utilizzo del 2Dg sui pazienti con rene policistico. Saranno coinvolti anche l'ospedale di Montichiari (Brescia) e il Policlinico di Modena. "Siamo giunti a questo importante risultato - conclude Boletta - anche grazie all'essenziale contributo dell'Associazione italiana rene policistico che ci motiva a proseguire con i nostri studi per portare una terapia ai pazienti, oltre a offrire sostegno economico al progetto".