Salute

Zika e microcefalia: la prova finale

Anche i test su animali ribadiscono il legame fra l'infezione e la grave malformazione. Era la sola conferma che ancora mancava.

Una ricerca condotta su topi e pubblicata su Nature dimostra che i piccoli nati da madri infettate da Zika durante la gravidanza hanno un ritardo nella crescita e gravi danni cerebrali, che richiamano quelli osservati nei figli delle donne colpite dall'infezione in Brasile. La dimostrazione sugli animali era l'ultima prova che mancava alle indagini che finora hanno collegato il virus alla microcefalia, e rappresenta quindi la conferma definitiva.

dalla madre al feto. Nello studio pubblicato su Nature questa settimana, i ricercatori dell'Università di San Paolo e di altri istituti, per lo più brasiliani, hanno inoculato nelle topoline incinte l'agente infettivo, isolato da un malato. I loro piccoli avevano uno sviluppo ridotto del cervello, in particolare nella zona della corteccia, e altre caratteristiche riconducibili a un danno neurologico avvenuto nella prima parte della gravidanza. Inoltre, tracce del virus sono state trovate in diversi tessuti.

Questi fenomeni non si sono osservati in una seconda serie di test, che ha analizzato i piccoli nati da topoline appartenenti a una varietà diversa, ma anch'esse infettate con Zika quando erano incinte. I ricercatori ritengono che a proteggerli possa essere stato il sistema immunitario particolarmente reattivo in questo ceppo, che potrebbe aver annientato l'agente infettivo prima che attraversasse la placenta.

staminali ko. Con esperimenti in laboratorio, il gruppo di ricercatori ha anche dimostrato che il virus infetta le cellule progenitrici dei neuroni, che dovrebbero dare origine alle altre cellule cerebrali, impedendo così il corretto sviluppo del cervello. Questi test sono stati condotti in laboratorio, su tessuto nervoso ottenuto a partire da staminali.

nuova variante. Anche se Zika ha determinato in passato altre piccole epidemie, in Africa e in micronesia, la microcefalia non era mai stata osservata prima. Gli scienziati ipotizzano quindi che la malformazione possa essere legata al tipo di virus che si è diffuso in Brasile, leggermente diverso da quelli che circolano altrove.

12 maggio 2016 Margherita Fronte
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