La ricerca su una tecnica che sfrutta l'ingegneria genetica per neutralizzare le zanzare che veicolano la malaria potrà procedere con cautela: è quanto stabilito alla conclusione dei lavori della 25ma edizione della Convention on Biological Diversity (CBD), la Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite (un trattato internazionale), tenutasi dal 17 al 29 novembre a Sharm El-Sheikh, in Egitto.
Il gene-drive è un approccio di manipolazione genetica che permette di selezionare alcune caratteristiche ereditarie - nella fattispecie, quelle che rendono sterili le femmine di zanzare che veicolano la malaria, o che ne riducono le possibilità di accoppiamento, o ancora che le rendono immuni al parassita che la trasmette, il Plasmodium falciparum - e far sì che queste caratteristiche si diffondano rapidamente alle generazioni successive.
La tecnica è tra le più promettenti quanto a possibilità di eradicazione della malattia, ma allo stesso tempo presenta alcune incognite sulle conseguenze del rilascio di organismi geneticamente modificati in natura.
Opposte fazioni. Il dibattito circa un'eventuale moratoria globale su questo tipo di sperimentazione fuori dai laboratori aveva infiammando la comunità scientifica riunita in Egitto in occasione del summit, avvenuto mentre dall'altra parte del mondo, ad Hong Kong, filtravano le prime indiscrezioni sull'esperimento di editing dell'embrione con la tecnica CRISPR, in Cina, e sulla nascita di due gemelle con il DNA modificato.
Le due opposte fazioni vedevano fronteggiarsi chi teme che zanzare geneticamente modificate vengano liberate nell'ambiente, anche se nei Paesi più poveri e colpiti dalla malaria (più inclini ad accettare sperimentazioni dagli esiti incerti); e le istanze di centinaia di ricercatori che credono che i rischi siano inferiori ai potenziali benefici, forti della statistica: la malaria uccide infatti ogni anno più di 400 mila persone.
Il timore era che una moratoria sulle ricerche di gene-drive potesse scoraggiare gli investitori e fare mancare i fondi a questo filone di studi: uno dei principali progetti internazionali in questo settore - Target Malaria - coinvolge un nutrito gruppo di ricercatori dell'Imperial College di Londra, oltre a molti prestigiosi partner internazionali (come l'Università di Oxford), ed è finanziato dalla Bill & Melinda Gates Foundation.
A sostegno di questa posizione era stata scritta una lettera aperta firmata da oltre un centinaio di scienziati coinvolti nell'approccio genetico all'eradicazione della malattia epidemica. L'appello ha funzionato e ha prodotto un compromesso ben visto da entrambe le parti. L'accordo prevede che questo genere di ricerche debbano dimostrare che gli organismi geneticamente modificati non costituiscano un pericolo se liberati in natura, e che ogni test sul campo, al di fuori dei laboratori, debba essere preceduto "da un consenso libero, a priori e informato" delle popolazioni che abitano nelle aree interessate dagli esperimenti.
Sterminare! Alla fine di settembre, la lotta alla malaria attraverso il gene-drive ha fatto un notevole salto in avanti grazie a un gruppo dell'Imperial College guidato dall'italiano Andrea Crisanti, professore di parassitologia molecolare presso l'ateneo londinese. Il team ha applicato la tecnica su alcune popolazioni di un insetto vettore della malaria, l'Anopheles gambiae, in laboratorio, portandole al collasso in 7-11 generazioni.
In particolare è stato preso di mira con la CRISPR-Cas9 un gene chiamato doublesex, che determina se un individuo sarà di sesso maschile o femminile. Doublesex esiste in una variante maschile e femminile: con le forbici molecolari (la CRISPR, appunto) è stata distrutta la variante femminile.
Mentre i maschi hanno continuato a riprodursi normalmente, le femmine (le sole a veicolare il parassita della malaria) recanti due copie di questo gene hanno sviluppato caratteristiche peculiari: sono diventate incapaci di mordere, presentavano abbozzi di organi maschili e non producevano uova. Dopo circa otto generazioni le popolazioni di zanzare studiate in laboratorio erano al collasso per mancanza di prole. La ricerca è stata pubblicata su Nature Biotechnology.
La fase successiva sarà testare la tecnica in grandi gabbie che riproducano le condizioni di ambienti tropicali. Affinché la tecnica venga sperimentata in natura ci vorranno perciò almeno 5-10 anni, ma prima occorrerà decidere come regolamentare esperimenti di questo tipo.