Salute

World AIDS Day: quella col virus dell’HIV è una lotta contro il tempo

Giornata Mondiale contro l'AIDS: la diagnosi precoce è la chiave per arginare il virus dell'HIV prima che possa moltiplicarsi - Gli ultimi studi e i numeri globali dell'epidemia.

La somministrazione tempestiva di farmaci antiretrovirali a neonati con HIV riduce in modo importante il numero di cellule immunitarie danneggiate, e limita le riserve dormienti del virus. Nella Giornata Mondiale contro l'AIDS, indetta ogni anno per il 1 dicembre, uno studio dell'Università di Harvard sottolinea l'importanza di una diagnosi effettuata appena dopo la nascita, per i bambini le cui madri non abbiano ricevuto una terapia antiretrovirale durante la gravidanza.

la speranza di un futuro. Le future madri sieropositive possono trasmettere ai figli il virus dell'HIV nel corso della gestazione, durante il parto e con l'allattamento. Nella maggior parte dei casi il passaggio del virus può essere scongiurato somministrando alle donne un mix di farmaci - gli antiretrovirali - che disattivano gli enzimi che il virus dell'HIV sfrutta per replicarsi. Ma non sempre questo è possibile, e il 25-50% dei bambini che non ricevono diagnosi e trattamento muore entro i primi due anni di vita.

Intervento tempestivo. Lo studio pubblicato su Science Translational Medicine dimostra che i neonati trattati entro 24 ore dalla nascita hanno un sistema immunitario più forte, meno cellule immunitarie danneggiate e una quantità di virus "dormiente" 200 volte inferiore rispetto ai neonati che iniziano il trattamento più avanti, attorno al quarto mese dalla nascita.

Accesso ai farmaci. Nel 2018 sono state 1,7 milioni le persone contagiate dal virus dell'HIV. Delle 37,9 milioni che convivono con il virus che causa l'AIDS, solo 24,5 hanno accesso alle terapie antiretrovirali che sopprimono la carica virale dell'HIV nel plasma e consentono un'aspettativa di vita paragonabile a quella delle persone non infettate. Nel 2018, 770 mila persone sono morte per conseguenze legate all'HIV.

Fronte comune. Secondo UNAIDS, l'agenzia delle Nazioni Unite in prima linea nel combattere la malattia, una partecipazione attiva delle persone con HIV nel loro stesso percorso di cura (anche se non si tratta di una cura nel senso stretto del termine: il trattamento deve proseguire per tutta la vita), è il primo passo per ridurre l'avanzata dell'epidemia. Non a caso, il tema del World AIDS Day 2019 è Communities make the difference: milioni di persone legate ai pazienti con HIV, familiari, personale sanitario, attivisti, educatori, hanno contribuito ai progressi degli ultimi vent'anni.

Progressi poco uniformi. Ancora molto resta da fare, per raggiungere il target 2020 di non superare le 500 mila morti mondiali per AIDS. In base a un rapporto dell'UNICEF, ogni ora nel mondo vengono contagiati 30 adolescenti tra i 15 e i 19 anni, e in 2 casi su 3 si tratta di ragazze, spesso vittime di rapporti sessuali precoci e forzati, e allo stesso tempo della povertà, della scarsità di informazioni sulla trasmissione del virus, del mancato accesso a test e sportelli di consulenza.

Questa fascia di età dei teenager è l'unica nella quale non si sia registrato un declino nei decessi per AIDS dal 2010 a oggi.

Sbarriamogli la strada. Dove la prevenzione non arriva, la diagnosi precoce è fondamentale, e non solo per i bambini appena nati. Secondo una ricerca del Montreal Clinical Research Institute (IRCM) di recente pubblicata su Cell Reports, il virus ha nelle prime fasi una "finestra di vulnerabilità" nella quale può essere più facilmente attaccato. Una volta trasmesso, il virus dell'HIV si moltiplica inizialmente a livello locale, invadendo soprattutto la zona genitale. Solo dopo questa espansione iniziale prende a moltiplicarsi nel resto del corpo, stabilendo un'infezione sistemica.

Nel prendere di mira il sistema immunitario, l'HIV "appena arrivato" bersaglia prima di tutto una tipologia di fagociti, le "cellule dendritiche plasmocitiche" specializzate nel dare l'allarme. Le mette a tacere per stabilire più facilmente l'infezione anche nel resto del corpo. Aumentando la quantità di queste cellule sia prima, sia nelle prime fasi dell'infezione, si è visto (per ora soltanto nei topi) che la carica virale dell'HIV viene sensibilmente ridotta.

30 novembre 2019 Elisabetta Intini
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