La "variante inglese" del coronavirus ormai diventata predominante nel Regno Unito non dovrebbe sfuggire alla protezione offerta dai vaccini o da una precedente infezione da CoViD-19. Lo indica uno studio statunitense che ha preso in esame gli anticorpi sviluppati da pazienti guariti dalla malattia e ha cercato di capire a che punti del virus si legassero: ebbene, è estremamente raro che questi anticorpi prendano di mira le parti del SARS-CoV-2 che risultano mutate (e quindi non riconoscibili) nella variante inglese.
Una buona notizia. In base all'analisi coordinata da Akiko Iwasaki, immunobiologo dell'Università di Yale, «è improbabile che la variante B.1.1.7 sfugga al riconoscimento degli anticorpi generati da una precedente infezione da vecchie versioni del virus o dai vaccini»: se i dati non ancora pubblicati in peer-review fossero confermati, farebbero tirare un sospiro di sollievo agli epidemiologi del Regno Unito e del mondo intero, che temono di scontrarsi con una diminuita efficacia dei vaccini o con una valanga di reinfezioni.
Non in zone strategiche. Gli anticorpi neutralizzanti bersagliano i virus riconoscendo alcune loro specifiche proteine e legandosi ad esse. Alcuni anticorpi prendono di mira filamenti continui di proteine, altri mirano invece a parti superficiali del virus che vengono alla luce durante il ripiegamento (ossia il cambio di configurazione spaziale) delle proteine.
Gli scienziati di Yale e dell'azienda di biotecnologie californiana Serimmune hanno analizzato gli anticorpi di 579 pazienti guariti dalla covid e hanno concluso che la maggior parte di essi attaccava gli stessi "hotspot" del virus. Dato importante, nessuna delle mutazioni tipiche della variante inglese di coronavirus si trova in questi punti tipicamente aggrediti, e quindi non c'è quasi mai ragione di temere una risposta anticorpale indebolita.
Poche eccezioni, poco allarmanti. Soltanto due persone, lo 0,3% dei pazienti studiati, mostrava anticorpi meno capaci di attaccare la proteina Spike nella variante inglese (la Spike è la chiave che il coronavirus SARS-CoV-2 usa per accedere alle cellule del corpo umano). Tre persone, lo 0,5% del totale, hanno mostrato una risposta anticorpale indebolita nei confronti di altre componenti del virus, ma questo fatto non preoccupa: gli anticorpi sviluppati potrebbero infatti essere efficaci contro diversi ripiegamenti delle proteine, inoltre la risposta anticorpale non è la sola reazione immunitaria capace di respingere i patogeni. In ogni caso, in base ai dati emersi, soltanto una piccola frazione di persone potrebbe avere una minore capacità di respingere la variante inglese con gli anticorpi già sviluppati alla covid.
Secondo Danny Altmann, Professore di Immunologia all'Imperial College London intervistato dal Guardian, la scoperta fa sperare che la maggior parte degli anticorpi - naturali o prodotti dai vaccini - sia efficace contro la variante inglese e quella sudafricana: «Lo studio ci ricorda che la neutralizzazione comprende una vasta gamma di specificità anticorpali in diversi punti, la maggior parte dei quali non interessata da mutazioni».