L'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato il vaiolo delle scimmie un'emergenza sanitaria globale dopo il rapido aumento dei contagi in Repubblica Democratica del Congo. L'indicazione è arrivata dal comitato di esperti indipendenti che si è riunito mercoledì scorso e ha promosso l'adozione del più alto livello di allarme previsto dal diritto sanitario internazionale. Il timore è che il virus si diffonda in altri paesi africani, come già sta accadendo, e fuoriesca dal continente. Un sospetto fondato, dal momento che il 15 agosto in Svezia è stato registrato il primo caso europeo.
Di mpox si era già abbondantemente parlato nel 2022 quando erano emersi focolai in Europa e America del Nord: come mai l'emergenza è stata dichiarata solo ora? La ragione è che siamo di fronte a un sottotipo diverso del virus, più contagioso e aggressivo. E che sul vaiolo delle scimmie ci siamo distratti e abbiamo commesso un errore di valutazione, di nuovo.
Due diversi clade. Il vaiolo delle scimmie è un'infezione provocata da un virus della famiglia dei Poxviridae, la stessa del vaiolo umano. Fu identificato per la prima volta nel 1958 nelle scimmie impiegate in un laboratorio danese e nel 1970 si registrò il primo contagio in un cittadino della Repubblica Democratica del Congo. Da allora il virus non ha fatto molto parlare di sé, arginato anche dalla vaccinazione di massa contro il vaiolo avvenuta negli anni '70. Dal 2017 però i casi hanno ripreso a crescere.
L'infezione è infatti endemica in alcune aree dell'Africa occidentale e centrale, ma con una differenza: il clade, ovvero un ampio gruppo di virus che si è evoluto nel corso dei decenni fino a diventare un sottotipo distinto dal punto di vista genetico e clinico.
Una variante più aggressiva. Nel 2022, l'epidemia è stata determinata dal clade II, che si trasmette principalmente per via sessuale e presenta un tasso di mortalità pari all'1%. Per la maggior parte dei pazienti l'esito è stato benigno e la malattia si è risolta da sola nel giro di due o quattro settimane.
Gli occhi puntati sul possibile pericolo nei paesi ad alto reddito ci hanno distratto da quanto stava avvenendo in Africa centrale, dove un altro sottotipo stava prendendo piede: il clade I, in particolare nella variante b, più contagiosa. I sintomi sono simili: febbre, linfonodi gonfi, debolezza muscolare e un'eruzione cutanea che ricorda quella del vaiolo. Il tasso di mortalità però raggiunge il 10%, poco al di sotto della SARS.
Una diversa via di trasmissione. A cambiare non è solo la gravità dell'infezione: il modo differente in cui il patogeno si trasmette sta facilitando il contagio. Sembra infatti che il clade I possa passare da uomo a uomo non solo attraverso rapporti sessuali o il contatto con lenzuola e vestiti infetti, ma pure tramite i droplets respiratori. In altre parole, le goccioline di saliva.
Gli esperti se ne sono accorti studiando l'epidemiologia in Repubblica Democratica del Congo dove, nel solo 2023, sono stati registrati più di 14.600 casi e 654 decessi: i più colpiti erano i bambini. Ora l'epidemia è in rapida crescita e a metà del 2024 sono già stati raggiungi gli oltre 15.600 casi confermati con 537 decessi.
Il monitoraggio non è semplice. Se nei paesi ad alto reddito l'accesso a test e vaccini è stato pressoché immediato, lo stesso scenario non si è ripetuto in Africa. La difficoltà di reperimento degli esami di laboratorio ha costretto i medici a effettuare la maggior parte delle diagnosi solo su base clinica, a partire dai sintomi. Non possiamo quindi determinare con esattezza quanti siano i contagi effettivi.
L'unico conteggio che abbiamo a disposizione si basa su un piccolo campione di sequenze genomiche provenienti dal Sud Kivo, un'area dell'est della Repubblica Democratica del Congo, dove sono stati rinvenuti focolai nonostante il virus non fosse endemico. Nell'ultimo mese l'infezione si è diffusa nei paesi confinanti, come il Ruanda o il Burundi, e ha raggiunto l'Africa orientale, che fino a questo momento era rimasta incolume.
Perché è stata dichiarata l'emergenza. La sigla ufficiale dell'emergenza è PHEIC (Public health emergency of international concern) ed è uno status assegnato dall'OMS a "eventi straordinari" che rappresentano un rischio per la salute pubblica e per i quali è necessaria un risposta internazionale coordinata, allo scopo di scongiurare una pandemia. In questo caso, l'ufficialità dell'emergenza permetterà di mobilitare più facilmente risorse economiche che si tradurranno in test e vaccini.
Tra questi ultimi, il più efficace è l'Imvamune o Imvanex, basato sul virus del vaiolo umano, in quanto strettamente correlato all'mpox. I Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie avevano già avviato i negoziati per l'acquisto di 200.000 dosi di vaccino, ma rispondono solo a una piccola frazione della domanda effettiva. Ora invece saranno stanziati 15 milioni di dollari, di cui 1,5 milioni provenienti dal Fondo di emegenza dell'Oms, per la produzione e distribuzione di quasi 3 milioni di dosi entro la fine dell'anno.
«Tutti sono stati unanimi nel ritenere che l'attuale epidemia di mpox, sia un evento straordinario -, ha affermato il presidente della commissione indipendente Dimie Ogoina. - Quello che abbiamo in Africa è la punta dell'iceberg. Non stiamo riconoscendo, o non abbiamo il quadro completo, della diffusione dell'infezione. Dobbiamo imparare dagli errori del 2022 e agire in modo deciso per evitare che la storia si ripeta».
Il clade Ib in Europa. Al momento è stato registrato un solo caso di clade Ib in Europa (nessuno negli Stati Uniti), confermato dall'Agenzia svedese per la sanità pubblica che ha invitato a non allarmarsi. Il virus infatti è noto e i vaccini ci sono, nonostante il cambiamento nel target di riferimento: la popolazione considerata a rischio di contrarre l'infezione ora è molto più ampia.
«La conferma dell'mpox clade I in Svezia è un chiaro riflesso dell'interconnessione del nostro mondo. È probabile che ci saranno ulteriori casi importati della variante clade I nella regione europea nei prossimi giorni e settimane», ha avvertito l'ufficio regionale europeo dell'Oms in un comunicato.