Si susseguono le notizie circa i nuovi casi di vaiolo delle scimmie, una rara (anche se non nuova) malattia virale che è stata registrata in almeno sei Paesi, inclusa l'Italia. Prima di ragionare sul potenziale di diffusione di questa infezione proviamo a capire insieme di cosa si tratta, con questa guida essenziale a domande e risposte.
Vaiolo delle scimmie: che cos'è? Il vaiolo delle scimmie (monkeypox in inglese) è una rara malattia infettiva causata da un virus della stessa famiglia del vaiolo, ma meno diffuso e meno grave. Si chiama così perché si diffonde prevalentemente tra le scimmie e i piccoli roditori dell'Africa centrale e occidentale, e occasionalmente viene trasmesso all'uomo attraverso il contatto diretto con l'animale, la sua saliva o altri fluidi. Il virus del vaiolo delle scimmie fu osservato per la prima volta in alcuni primati di laboratorio nel 1958, mentre il primo caso umano identificato emerse nel 1970 nell'attuale Repubblica Democratica del Congo.
Di quanti casi stiamo parlando? Il 19 maggio 2022 si contavano 33 casi confermati e altri 42 sospetti diffusi tra diversi Paesi (Regno Unito, Portogallo, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Italia, Canada), ma questa è probabilmente la punta dell'iceberg e si pensa che la diffusione sia in realtà molto più estesa (qui una lista in aggiornamento compilata dagli esperti dell'Università di Oxford e dell'Harvard Medical School). Nel nostro Paese si parla al momento di tre casi confermati.
Non è chiaro se i contagi siano collegati. La prima persona con diagnosi di vaiolo delle scimmie nel Regno Unito aveva viaggiato in Nigeria, e due casi sono suoi contatti stretti. Altri episodi però non risultano collegati, e la comparsa del virus in più Paesi fa ipotizzare vi sia una diffusione comunitaria.
È la prima volta che succede? No. Ci sono già state in passato epidemie molto contenute fuori dall'Africa (anche nel 2021 e nel 2018 nel Regno Unito), tutte con un chiaro collegamento a viaggi in Africa e con una diffusione locale molto limitata. Quello di questi giorni è forse il più esteso gruppo di casi mai verificatosi in Europa, ma non il più esteso in assoluto. Tra il 2017 e il 2018 ci sono stati 122 casi in Nigeria e 7 decessi.
Quali sono i sintomi? I pazienti colpiti da vaiolo delle scimmie mostrano febbre, brividi, dolori muscolari e stanchezza debilitante, mentre in una seconda fase possono comparire vescicole e pustole con croste simili a quelle della varicella, soprattutto sul viso e nella zona dei genitali.
Come avviene il contagio? Secondo l'OMS il contagio da uomo a uomo si verifica soprattutto attraverso i droplets (goccioline) respiratori che si depositano in fretta sulle superfici, e quindi con un contatto faccia a faccia ravvicinato e prolungato. Ma il virus può essere trasmesso anche toccando le lesioni cutanee delle persone infette o materiale contaminato da esse, come asciugamani, abiti o lenzuola.
La maggior parte dei casi nel Regno Unito riguarda uomini che hanno rapporti sessuali con uomini, un fatto che ha portato alcuni a ipotizzare una nuova via di contagio a trasmissione sessuale. Il vaiolo delle scimmie non è però considerato una malattia sessualmente trasmissibile. Piuttosto, i rapporti sessuali sono per definizione una forma di interazione molto ravvicinata che implica il contatto cutaneo e lo scambio di fluidi respiratori.
Il virus del vaiolo delle scimmie comunque non si trasmette facilmente da persona a persona e - a differenza di quello della covid - non sembra diffondersi in maniera asintomatica. Questo, in base alle informazioni sulle precedenti epidemie: osservando quella attuale si ricaveranno dati più precisi.
Quanto è letale la malattia? Secondo l'Istituto Superiore di Sanità, in genere la malattia si risolve spontaneamente in 1-2 settimane con adeguato riposo e senza terapie specifiche. Tuttavia l'infezione può avere un decorso più grave, soprattutto nei bambini.
In Africa esistono due ceppi di virus del vaiolo delle scimmie: quello del Congo, letale in una persona ogni 10 che contraggono la malattia, e quello dell'Africa occidentale, letale in un caso ogni 100 riportati. Finora nel Regno Unito è stato individuato soltanto il secondo tra i due ceppi, mentre per gli altri Paesi non è ancora disponibile un sequenziamento. Se si considera che i sintomi lievi e comuni della malattia possono dar luogo a molti casi non identificati, la letalità risulta molto più bassa rispetto a queste statistiche.
Esistono cure o vaccini? Contro il vaiolo delle scimmie esistono farmaci antivirali di recente approvazione, come il Tecovirimat, che blocca la trasmissione cellulare del virus e che funziona anche contro il vaiolo (malattia che fortunatamente abbiamo già eradicato). C'è anche già a disposizione un vaccino a virus attenuato approvato negli USA e chiamato Jynneos (o Imvanex o Imvamune), destinato finora alle persone con HIV o altre compromissioni immunitarie che abbiamo almeno 18 anni.
Le persone abbastanza in là con gli anni da essere state vaccinate contro il vaiolo dovrebbero godere di una parziale protezione contro il vaiolo delle scimmie.
In Italia, questa vaccinazione è stata sospesa nel 1977 e definitivamente abrogata nel 1981. Nel Regno Unito si stanno offrendo vaccini alle persone ritenute contatti stretti dei casi confermati, per arginare la diffusione del virus sul nascere.
Potrebbe trattarsi di un nuovo ceppo del virus? Non è possibile stabilire se la comparsa del vaiolo delle scimmie in più Paesi contemporaneamente, probabilmente legata a una maggiore trasmissibilità, sia dovuta a un nuovo ceppo del virus. Questo sarà stabilito dal sequenziamento dei campioni virali ancora in corso.
C'è il rischio di una nuova pandemia? La possibilità di un'aumentata diffusione del vaiolo delle scimmie, ora che il virus del vaiolo è stato eradicato e ha lasciato libera la sua "nicchia ecologica", era già stata avanzata negli scorsi anni, e fortunatamente possediamo alcuni strumenti per mettere il patogeno all'angolo. Ci si aspetta che questa nuova epidemia venga sopita nelle sue fasi iniziali, grazie al contact tracing e alle caratteristiche intrinseche della malattia.
Tuttavia la diffusione di quella che è di solito considerata una malattia tropicale, anche in Paesi "inediti", dovrebbe suscitare alcune riflessioni su questo mondo interconnesso, e sulle conseguenze del nostro rapporto con il mondo naturale.