La rivista medica Lancet pubblica oggi i risultati di due sperimentazioni in cui organi interi, o parti di essi, sono stati costruiti in laboratorio e impiantati con successo su pazienti. I due studi rappresentano un importante progresso per l'ingegneria dei tessuti, perché confermano che fabbricare parti del corpo su misura per chi ne avrà bisogno, e senza il rischio di rigetto, è un obiettivo raggiungibile.
La realizzazione della vagina
Nel primo studio - certamente il più impressionante – vagine intere, ricostruite a partire da cellule isolate, sono state impiantate in quattro ragazze di età compresa fra i 13 e i 18 anni, affette da una malformazione rara e grave di quest'organo.
A distanza di otto anni, la struttura anatomica delle vagine biotech era perfettamente normale, non ci sono state complicazioni, e le quattro ragazze hanno una vita perfettamente normale, anche sotto il profilo della sessualità. Il risultato è stato ottenuto dal gruppo diretto da Anthony Atala, lo scienziato di maggior rilievo a livello mondiale in questo settore, direttore del Wake Forest Institute per la medicina rigenerativa di Winston Salem (Usa), in collaborazione con i medici dell'ospedale pediatrico e dell'Università di Città del Messico.
Come funziona la tecnica
Nella sperimentazione, le pazienti sono prima state sottoposte a una biopsia, che ha prelevato un centimetro quadrato di tessuto dalla vulva, preservata nonostante la malattia. Da questo frammento si sono poi isolate le cellule, che sono state fatte moltiplicare in laboratorio, e distribuite su una struttura di collagene a forma di vagina, anch'essa costruita in laboratorio sulla base dell'anatomia delle pazienti. Dopo un paio di settimane di incubatore gli organi erano pronti per essere impiantati.
Quando si dice avere naso
Una procedura simile è stata seguita nel secondo studio pubblicato da Lancet, condotto da un team dell'Università di Basilea, in Svizzera. Stavolta però i pazienti erano cinque adulti colpiti da un tumore della pelle, che rendeva necessaria l'asportazione di una delle due cartilagini alari che formano le narici. Prima dell'intervento, i medici hanno prelevato un frammento di cartilagine di appena 6 millimetri dal setto nasale, hanno isolato le cellule e, come nell'esperimento di Atala, le hanno fatte crescere su un membrane di collagene. Si sono così ottenute le parti di cartilagine, da impiantare al posto di quella asportata nel corso dell'intervento chirurgico di rimozione del tumore. A un anno dall'impianto, i pazienti erano soddisfatti sia dell'aspetto che della funzionalità dei loro “nuovi nasi”.
La portata delle due ricerche
Non è la prima volta che l'ingegneria dei tessuti fa registrare successi di questa portata. Lo stesso Anthony Atala ha già ottenuto risultati analoghi con la vescica (impiantata in pazienti ai quali era stata asportata la loro, per un tumore) e con l'uretra. Entrambi i gruppi di ricerca tuttavia invitano alla cautela nell'interpretare gli studi, perché passeranno ancora anni prima che queste tecniche possano entrare negli ospedali. Lo sottolinea anche Martin Birchall, esperto dello University College di Londra, chiamato da Lancet a commentare i due studi: «i passi da compiere fra queste ricerche e la loro applicazione alla pratica clinica restano molti, e includono sperimentazioni di lungo periodo su un numero maggiore di pazienti e lo sviluppo di processi produttivi per la commercializzazione».