Il vaccino di Oxford e AstraZeneca potrebbe avere un effetto sostanziale anche sulla trasmissione del virus. L'analisi degli ultimi dati di tre diversi trial di fase 3 suggerisce che il vaccino di recente autorizzato dall'EMA riduca del 67% il numero di tamponi positivi negli individui vaccinati, riducendo potenzialmente anche il passaggio asintomatico del virus tra i vaccinati e i loro contatti. Una caratteristica che potrebbe avere un impatto importante sulla pandemia, perché se i risultati fossero confermati, ogni persona immunizzata proteggerebbe indirettamente anche chi la circonda. Sono dati preliminari, ma è la prima volta che si attesta l'efficacia di un vaccino anche nella riduzione della trasmissione (e non solo nella protezione dalla malattia con sintomi).
Distanziare le dosi. Ma i risultati delle sperimentazioni, che sono al momento in fase di revisione prima di una pubblicazione sul Lancet, lasciano intuire un altro fatto interessante, e cioè che già la prima dose del vaccino di Oxford conferisce una protezione media del 76% contro le infezioni sintomatiche, a partire da tre settimane dall'iniezione e fino a 90 giorni successivi. Per tre mesi si ha quindi un'alta efficacia che non sembra scemare, copertura che raggiunge l'82% quando si somministra anche la seconda dose, purché dopo oltre tre mesi dalla prima. Si tratta di una protezione molto più elevata rispetto a quella emersa dalle analisi ad interim, le valutazioni intermedie che sono servite all'autorizzazione condizionata del vaccino.
L'articolo suggerisce che l'efficacia del vaccino contro la covid con sintomi, passi dal 55% di quando la seconda dose viene data a non più di 6 settimane dalla prima, all'82,4% di quando essa arriva più di tre mesi dopo. Un effetto che sembra strano solo ai non addetti ai lavori: anche i vaccini contro alcune forme influenzali e contro Ebola sono più efficaci se effettuati in occasioni più distanziate nel tempo. Anche la maggiore protezione offerta nel lungo periodo da altri vaccini a base di adenovirus depotenziati, come quello di Johnson & Johnson, lasciava sperare potesse essere così.
alcuni dubbi. Tuttavia, come riferisce il Guardian, alcuni scienziati rimangono scettici sui risultati e sottolineano che il trial non è stato pensato per comparare diversi dosaggi, e alcune variabili che non sono state "pesate" sui diversi campioni di partecipanti, potrebbero aver influenzato i dati finali. Per esempio, il dosaggio singolo è stato assegnato più spesso a soggetti giovani, più spesso a donne, più frequentemente a lavoratori sanitari e bianchi.
Se i risultati dello studio fossero confermati, sarebbe una rassicurazione per la strategia vaccinale intrapresa dal Regno Unito, che ha scelto di iniziare a somministrare una dose di vaccino al maggior numero di persone possibili e prendersi il rischio di ritardare i richiami. Data questa doppia scoperta (taglio della trasmissibilità e protezione più elevata ritardando la seconda dose), con l'aumentare dei vaccinati, i livelli di infezione potrebbero diminuire più rapidamente di quanto si sperasse. Sempre che le varianti di coronavirus non ci mettano lo zampino. La tattica di iniziare con una sola dose, sostenuta da alcuni scienziati nel Regno Unito e non solo, era stata fortemente criticata per l'assenza di dati scientifici a supporto.
Non resta che aspettare. Nel Regno Unito si sta somministrando anche il vaccino di Pfizer-BioNTech, del quale però non è noto l'impatto sulla trasmissione virale. Questo vaccino va dato in due dosi a distanza di 21 giorni l'una dall'altra, per ottenere una protezione del 95%. Gli effetti dell'imponente campagna vaccinaleella Manica al di là d dovrebbero iniziare a vedersi entro qualche settimana: secondo la BBC, un cittadino britannico su sei è stato vaccinato.