Salute

Un vaccino anti-covid in un anno: 10 ragioni per cui è stato possibile

In tempi normali ci vogliono molti anni per ottenere un vaccino, ma una pandemia mondiale è un evento storico eccezionale, e questo cambia tutto.

Di solito ci vogliono anche 10 anni per arrivare a un vaccino... come faccio a fidarmi di un prodotto ottenuto in un anno?... È quello che si sente dire ripetutamente in questi giorni da quanti vedono con diffidenza la rapidità con cui il mondo ha conquistato un vaccino anti-covid. In effetti di norma occorrono molti anni, per ricerche di questo tipo: quella che stiamo vivendo, però, non è affatto una circostanza normale. È una pandemia che sarà ricordata sui libri di Storia e lascerà tracce indelebili nel nostro vissuto, nella ricerca, nella sanità e nell'economia.
 
Oltre a questa macro-ragione generale ce ne sono almeno altre 10 più concrete, raccolte dal Guardian, che raccontano come sia stato possibile arrivare a un vaccino anti-covid in meno di un anno, senza compromessi su sicurezza e qualità. Ve le riproponiamo, spiegate, qui sotto.

1. In parte, eravamo già pronti
Escludendo le realtà dei singoli Paesi, la consapevolezza di una possibile pandemia era già da tempo diffusa a livello globale, e governi, istituzioni e organizzazioni non profit stavano raccogliendo risorse per farvi fronte. Nel 2017 era stata per esempio lanciata la Coalizione per l'innovazione in materia di preparazione alle epidemie (CEPI), un'alleanza internazionale che, dopo l'arrivo della CoViD-19, ha sostenuto finanziariamente lo sviluppo dei vaccini più promettenti. Questo non ha impedito alla pandemia di investirci come una valanga, ma per lo meno ha fornito le risorse economiche per la ricerca.
 
Non solo: molti gruppi universitari e privati che ora sentiamo continuamente citare, come Moderna, BioNTech o l'Università di Oxford, sono impegnati da anni nello sviluppo di sistemi che permettano di sviluppare vaccini in tempi molto rapidi, a partire dal codice genetico di agenti infettivi o di altre alterazioni cellulari, come rare malattie genetiche o tumori. Allo sviluppo dei vaccini a mRNA si lavorava da un decennio: quando il nuovo coronavirus ha iniziato a diffondersi, in primavera, i ricercatori hanno velocemente adattato la ricerca al profilo genetico del SARS-CoV-2, che era stato sequenziato in diversi laboratori del mondo.

2. La Cina ha identificato fin da subito il nuovo patogeno
Lo sviluppo rapido di un vaccino anti-covid non sarebbe stato possibile se ricercatori cinesi non avessero immediatamente individuato nel SARS-CoV-2 un nuovo tipo di coronavirus e non avessero reso pubblica la sequenza genetica del suo RNA. Questa scoperta e condivisione operata a gennaio 2020 da Yong-Zhen Zhang, virologo della Fudan University di Shanghai, ha aperto la strada alla ricerca di vaccini.

E il fatto che sulle piattaforme di ricerca preesistenti fosse sufficiente aggiungere la sequenza genetica che i virus usano per riprodursi (in pratica una semplice serie di "lettere") e non un campione di virus vivo, ha permesso di sviluppare e produrre un vaccino in tempi record.

3. Sono arrivati finanziamenti a pioggia
Di solito occorrono anni per racimolare i fondi necessari a sostenere una ricerca e a finanziare le sperimentazioni: quando un'epidemia è limitata a una certa area geografica, è spesso necessaria la mediazione di fondazioni private per esercitare pressione sui governi affinché lo sviluppo di un vaccino venga appoggiato. Le gravissime conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia di covid hanno reso evidente la necessità di far fronte all'emergenza in modo comune e immediato. Detto in termini estremamente cinici: costa meno investire nella ricerca di un vaccino che sopportare lockdown a tempo indeterminato.

4. La scrittura dei trial clinici ha avuto la precedenza assoluta
Ricercatori di tutto il mondo hanno indirizzato i loro studi sulla covid, dedicando alla ricerca di cause, effetti e possibili rimedi ogni ora di tempo del giorno e della notte. Tutto ciò che riguardava la pandemia si è mosso su una sorta di corsia preferenziale che ha permesso di scrivere i protocolli delle sperimentazioni dei vaccini in tempi molto rapidi, senza rimetterci in accuratezza. Gruppi di ricerca di ogni Paese hanno collaborato accantonando gli interessi di parte per arrivare in fretta ai risultati che oggi vediamo. I comitati di approvazione hanno ricevuto questi progetti e hanno dato alla loro revisione la priorità su tutto il resto.

5. I trial farmacologici sono iniziati immediatamente
Per le stesse ragioni le sperimentazioni dei vaccini anti-covid sono iniziate subito, nella primavera 2020, e mentre si conducevano i test di fase 1 sulla sicurezza dei preparati si sono individuati i siti per condurre i test di fase 2-3, che hanno attestato la loro efficacia nel prevenire la malattia.

6. È cambiato il modo di raccogliere e analizzare i dati
Nei tre-cinque anni precedenti la pandemia, la ricerca farmacologica si è adeguata a una raccolta dati compiuta interamente in modo elettronico, con tablet e computer. Sembrerebbe scontato, ma fino a poco tempo fa non era così: nulla era ritenuto più affidabile di una solida cartella clinica. La raccolta digitale dei dati ha permesso di minimizzare gli errori e di analizzare e condividere le informazioni molto rapidamente, a mano a mano che venivano raccolte.

7. Non sono mancati i volontari
L'emergenza della pandemia e la condivisione del dolore che la covid ha procurato hanno richiamato un enorme numero di soggetti che si sono offerti per le sperimentazioni (anche accettando di correre rischi). Senza la loro generosità non avremmo ora alcun vaccino anti-covid.

8. Non sono mancati i contagi
Se i trial hanno portato a rapidi risultati lo "dobbiamo", in un certo senso, anche all'andamento della pandemia. Per capire se un vaccino è efficace occorre infatti che si verifichino dei casi di contagio nel gruppo di controllo, quello che ha ricevuto un placebo. La maggior parte delle sperimentazioni su larga scala dei vaccini anti-covid è cominciata sul finire della prima ondata. Durante l'estate, la tregua concessa dalla pandemia ha permesso di provare a risollevare la salute, l'economia e la socialità, ma ha rallentato le sperimentazioni (perché mancavano opportunità di contagio). La seconda ondata che tanto duramente ha inciso in termini di vite umane, ha anche accelerato i risultati dei trial farmacologici, perché i vaccini sono stati testati laddove il rischio di contagio casuale era più elevato.

9. I primi vaccini hanno dimostrato di funzionare molto bene
È più facile ottenere risultati rapidi da un vaccino altamente efficace che da uno che funziona soltanto in parte. Poniamo per assurdo di avere per le mani un vaccino efficace al 100% (non ce l'abbiamo: ma l'esempio è più immediato). In quel caso sarebbe sufficiente vedere 20 casi di contagio nel gruppo di controllo e 0 in quello dei vaccinati per essere praticamente certi dell'ottimo risultato raggiunto. Meno un vaccino è efficace, più casi totali sarà necessario accumulare (tra placebo e vaccinati) per avere evidenze della copertura offerta: se un vaccino offrisse una copertura solo parziale, 13 casi nel gruppo di controllo e 7 tra i vaccinati non fornirebbero informazioni sufficienti sulla protezione indotta, perché la differenza potrebbe dipendere da circostanze diverse o semplicemente dal caso.

10. Il processo di approvazione è stato continuo e costante nel tempo
Le autorità che si occupano della regolamentazione dei vaccini, come la FDA per gli Stati Uniti e l'EMA per l'Europa, hanno analizzato i dati sulle sperimentazione a mano a mano che arrivavano, in un processo di revisione continua - la rolling review - che permette tempi più snelli senza rinunciare al rigore di analisi. Così, nei giorni scorsi, prima che il vaccino di Pfizer venisse approvato, restavano soltanto gli ultimi dati sui trial di fase 3 da rivedere, e lo stesso sta avvenendo in queste settimane per i vaccini di Moderna e Oxford-AstraZeneca.


 
L'EMA ha anche ottenuto - grazie ad accordi di approvazione condizionata - un livello di garanzia in più per i cittadini europei: le aziende produttrici sono vincolate a fornire all'EMA i risultati della sperimentazione di fase 3 una volta al mese per i prossimi due anni, per rispondere alle domande rimaste inevase: quanto dura la protezione offerta? I vaccini proteggono anche dal contagio asintomatico? Funzionano altrettanto bene per pazienti immunodepressi, bambini e donne in gravidanza?

28 dicembre 2020 Elisabetta Intini
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