Durante una pandemia, qual è la strategia vaccinale che permette di salvare più vite? Meglio conferire un qualche livello di protezione, seppure incompleto, alla platea più ampia possibile, o fornire una protezione più efficace a meno persone, ma vaccinate con entrambe le dosi? È un dilemma che ci accompagna dall'arrivo dei vaccini, e al quale i vari Paesi hanno risposto in modo diverso: il Regno Unito ha scommesso per esempio sulla singola dose per tutti, ritardando la seconda. Ma se per il vaccino di AstraZeneca, rimandare la seconda iniezione aumenta persino l'efficacia, i benefici di questa scelta per gli altri vaccini erano meno ovvi.
Simulazioni matematiche. Ora uno studio condotto negli USA e pubblicato su PLOS Biology suggerisce che anche per i vaccini di Pfizer e Moderna, che si somministrano in due dosi a tre e quattro settimane di distanza, ritardare la seconda possa essere un'efficace strategia di salute pubblica, utile a ridurre infezioni, ricoveri ospedalieri e decessi. Per confrontare il diverso impatto epidemiologico delle varie scelte, i ricercatori della York University di Toronto, in Canada, hanno elaborato un modello matematico che simulava la trasmissione della covid in vari contesti, in cui la seconda dose veniva ritardata di diversi intervalli.
Meno infezioni e meno morti. Il modello ha mostrato che cosa sarebbe accaduto partendo da diversi livelli di immunità pregressa e variando i livelli di diminuzione di efficacia della prima dose del vaccino quando slittava la seconda. Si è visto così che ritardare la seconda dose di vaccini a mRNA di un intervallo di tempo compreso tra 9 e 15 settimane ha evitato più contagi, ricoveri e decessi rispetto a seguire le attuali modalità di somministrazione. In particolare, per il vaccino di Moderna un intervallo di almeno 9 settimane (rispetto alle 4 attuali) potrebbe evitare almeno un ulteriore 17,3% di infezioni ogni 10.000 persone, scongiurare uno 0,69% aggiuntivo di ospedalizzazioni e lo 0,34% in più di decessi.
Per il vaccino di Pfizer-BioNTech, un intervallo di almeno 9 settimane permetterebbe di ridurre i ricoveri di un ulteriore 0,6% e i decessi di uno 0,32% aggiuntivo, rispetto all'attuale somministrazione a 3 settimane di distanza. Non è emerso invece un chiaro vantaggio nella riduzione delle infezioni, a meno che non si assuma che l'efficacia della prima dose rimanga invariata (senza scemare) nel tempo.
In emergenza, conviene. Lo studio ha alcuni grossi limiti, inclusa la mancanza di dati clinici che quantifichino con precisione l'efficacia e la durata di copertura dei vaccini somministrati con regimi diversi da quelli dei trial clinici.
Manca anche un quadro completo dell'efficacia delle dosi ritardate di fronte all'emergere di nuove varianti di SARS-CoV-2. Tuttavia, lo studio dimostra che quando si corre contro il tempo, come durante una pandemia, «dare la priorità alla copertura vaccinale con una rapida distribuzione della prima dose potrebbe essere cruciale per mitigare gli effetti avversi e permettere al sistema sanitario di far fronte anche alle necessità mediche non-covid della popolazione», scrivono gli autori.