Una dose di un vaccino, una di un altro: quando all'inizio dell'anno il Regno Unito ha contemplato la possibilità di offrire a una stessa persona due iniezioni di vaccini diversi, in assenza di alternative disponibili al momento del richiamo, dalla comunità scientifica sono arrivati quasi soltanto pareri contrari. Mancava - si diceva - una base sperimentale su cui fondare queste decisioni. Per questo gli scienziati dell'Università di Oxford e della task force governativa che si occupa della campagna vaccinale hanno scelto di correre ai ripari: nelle prossime settimane si testerà l'efficacia di un regime vaccinale misto, per capire se la combinazione di diverse tipologie sia sicura ed efficace.
L'obiettivo è capire se fornendo due dosi di vaccini diversi si ottenga una protezione equivalente a quella che si avrebbe con due dosi dello stesso, oppure inferiore, o addirittura migliore - e come questo approccio "spiazzante" possa combattere le varianti di coronavirus diffuse nel Paese.
Una prospettiva interessante. Se risultasse che i vaccini sono "intercambiabili", la maggiore flessibilità nelle campagne vaccinali avrebbe ripercussioni in tutto il mondo, in un momento in cui i calendari di immunizzazione sono strettamente dipendenti dalle forniture di prodotti inviati dalle case farmaceutiche. Studi su modelli animali dimostrano che abbinando un vaccino a base di un adenovirus depotenziato, come quello di Oxford-AstraZeneca, e uno a mRNA, come quello di Pfizer-BioNTech, si potrebbe ottenere una risposta immunitaria più potente. Occorre capire se valga lo stesso per l'uomo, e se ciò si traduca in una protezione più efficace.
Varie combinazioni. Per la ricerca, chiamata COVID-19 Heterologous Prime Boost study ("Com-Cov") saranno reclutate 820 persone di oltre 50 anni che non abbiano ancora ricevuto nessuno dei vaccini anti-covid. Saranno testate quattro diverse combinazioni dei due vaccini approvati nel Regno Unito: una prima dose di vaccino di Oxford-AstraZeneca, seguita da una dose di vaccino di Pfizer-BioNTech; una di Pfizer seguita da una di Oxford; entrambe le dosi di vaccino di Oxford o entrambe le dosi di vaccino di Pfizer nei due gruppi di controllo.
Tutte queste combinazioni saranno testate in due diverse tempistiche: a distanza di 4 settimane, quando saranno raccolti dati ad interim, e a distanza di 12 settimane. In questo modo si ricaveranno dati in più circa l'opportunità di distanziare i dosaggi e sulle conseguenze nella risposta immunitaria.
Lo stesso obiettivo. I ricercatori preleveranno regolarmente campioni di sangue per misurare la quantità di anticorpi sviluppati dai volontari, che saranno monitorati anche sul fronte della sicurezza.
I vaccini anti-covid autorizzati sono sicuri e privi di effetti collaterali di rilievo, ma non sono stati pensati per essere intercambiabili. Tuttavia, i responsabili dello studio sono ottimisti: tutti i vaccini approvati finora, e anche quelli vicini all'autorizzazione, come quelli di Novavax e Johnson & Johnson, hanno come bersaglio la proteina Spike del virus. Per questa ragione ci si aspetta una buona risposta immunitaria.
Addirittura meglio? Ma c'è anche la speranza che combinare vaccini diversi conferisca una risposta immunitaria "potenziata", con più alti livelli di anticorpi per più tempo, e che diversificare l'approccio possa aiutare contro le varianti di coronavirus, che recano mutazioni proprio a carico della Spike. Anche il vaccino russo Sputnik, che di recente ha dimostrato un'efficacia superiore al 91% contro i casi sintomatici di covid, sfrutta due diversi adenovirus nella prima e nella seconda iniezione, proprio per produrre una risposta immunitaria più potente. L'utilizzo di due vettori differenti serve a scongiurare il rischio che, dopo la prima dose, si sviluppi immunità anche nei confronti dell'adenovirus usato per introdurre la Spike, e si riduca così l'effetto della seconda iniezione.