Pensavate che il ritorno alla "vita di prima" fosse naturale come accendere un interruttore, e non vedevate l'ora di essere vaccinati (o almeno di avere una data fissata per il vaccino). E adesso che il miraggio di una parziale normalità si profila all'orizzonte, vi sentite del tutto impreparati? Segnatevi questa espressione: sindrome della caverna. Nei prossimi mesi, potreste sentirne parlare parecchio.
Negli Stati Uniti, più avanti nella campagna vaccinale, in molti si riconoscono in questa difficoltà di uscire da un isolamento che ormai pare diventato un'abitudine. Persone completamente vaccinate limitano ancora i rapporti sociali alla "bolla" di contatti dell'ultimo anno e mezzo, e non solo per una comprensibile attenzione verso chi non ha ancora avuto il vaccino.
Darsi del tempo. Dopo un così lungo e innaturale periodo di distanze obbligate, persino chi è ormai completamente vaccinato potrebbe sentirsi a disagio nel riprendere le redini della propria vita sociale, benché con tutte le cautele del caso. La paura del contagio e le valutazioni sul rischio posto dalle varie situazioni di contatto sono ancora presenti e non spariranno dall'oggi al domani; anche una persona relativamente "protetta" potrebbe trovarsi ancora nella situazione di sovrastimare le probabilità di ammalarsi - dopo un anno e mezzo di vita trascorsa a fare di tutto per non essere infettati.
Isolati ma in buona compagnia. La sindrome della caverna potrebbe essere più diffusa di quanto si pensi. Secondo uno studio recente dell'American Psychological Association, il 49% della popolazione adulta si aspetta qualche difficoltà nel ritorno alle interazioni di persona alla fine della pandemia. Queste esitazioni riguardano anche i vaccinati: il 48% di coloro che hanno ricevuto un vaccino anti-covid ha dichiarato di sentirsi allo stesso modo. Un altro sondaggio condotto negli USA (di cui avevamo scritto qui) aveva decretato che la maggior parte degli intervistati avrebbe continuato a indossare la mascherina, a evitare i luoghi affollati e a lavarsi regolarmente le mani anche in una situazione di rischio diminuito.
"Quelli che hanno vissuto la pandemia". A maggio 2020, una ricerca dell'Università della British Columbia (Canada) aveva avvertito che circa il 10% della popolazione avrebbe sviluppato una sorta di disturbo da stress post-traumatico legato alla covid, al carico di dolore familiare e sociale, e alla situazione di paura prolungata che la pandemia ha portato con sé - una traccia indelebile che non potremo, e che non sarebbe neanche giusto, dimenticare. Inoltre, il carico di ricadute psicologiche causate dagli eventi dell'ultimo anno e mezzo rimane tuttora da affrontare, riconoscere, curare.
Le cause. Secondo Alan Teo, Professore di Psichiatria della Oregon Health and Science University intervistato da Scientific American, la sindrome della caverna si può spiegare con tre principali fattori: l'abitudine, la percezione del rischio e le connessioni sociali. «Abbiamo dovuto imparare la consuetudine di indossare mascherine, distanziarci fisicamente e socialmente, non invitare persone in casa - spiega - ed è molto difficile interrompere un'abitudine una volta acquisita».
C'è inoltre una profonda disconnessione tra rischio reale e rischio percepito, sia in positivo sia in negativo, come abbiamo visto più volte durante gli ultimi mesi. Molti di noi potrebbero sentirsi perfettamente a proprio agio in situazioni di rischio effettivo e trovarsi impacciati in condizioni di rischio lieve, come le interazioni a tu per tu una volta completamente vaccinati.
Tutto come prima? Alcuni non vogliono abbandonare alcuni benefici acquisiti durante i lockdown: gestire lavoro e interazioni da casa ha significato un profondo isolamento, ma anche la possibilità di evitare faticosi e onerosi spostamenti, fatiche, affitti. I progressi e l'uso obbligato della tecnologia da cui è dipesa la nostra vita relazionale negli ultimi mesi potrebbero aver aumentato, per alcune persone - in particolare per adolescenti e giovani adulti - il rischio di una forma estrema di ritiro sociale, l'hikikomori.
Nella stessa barca. Il messaggio importante è che la sindrome della caverna è una condizione comune e, dopo quello che abbiamo passato, perfettamente comprensibile. Allo stesso tempo è importante non darsi per vinti e riabituarsi a poco a poco, per quanto possibile, a una vita di relazioni: continuare a evitare le situazioni difficili rischia di nutrire e ingigantire l'ansia. Se invece il disagio accumulato è molto forte, è importante chiedere aiuto. Tenendo presente che la fine della pandemia sarà - per ragioni sociali e scientifiche - più sfumata e diluita di come si pensi.