La malattia di Parkinson, una condizione almeno nelle prime fasi difficile da diagnosticare, potrebbe un giorno essere "scovata" con un semplice esame del sangue: è la speranza riaccesa da uno studio appena pubblicato su Science Translational Medicine. In base all'analisi, che andrà validata con ulteriori test clinici, è possibile individuare nel sangue i danni genetici ai mitocondri (le centrali energetiche delle cellule) associati a questa malattia.
Parkinson: cause e sintomi. Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa che si verifica quando la morte di alcune popolazioni di neuroni nel cervello provoca un calo della dopamina, un importante neurotrasmettitore. Con il tempo i pazienti sviluppano tremori, rigidità muscolare, lentezza nel movimento, instabilità nell'equilibrio, oltre a problemi nell'esecuzione delle azioni, nella formulazione di pensieri astratti e del linguaggio, alterazioni del comportamento e dell'umore.
Danni caratteristici. Studi passati hanno dimostrato che i pazienti con Parkinson presentano spesso un malfunzionamento dei mitocondri, organelli provvisti di un proprio DNA che forniscono energia alle cellule: secondo Laurie Sanders, neuroscienziata della Duke University School of Medicine, sarebbero visibili danni al DNA mitocondriale sia nel tessuto cerebrale di pazienti con Parkinson, sia nelle loro cellule sanguigne.
Lotta contro il tempo. Proprio il laboratorio di Sanders ha messo a punto un test capace di quantificare il danno genetico dei mitocondri in un campione di sangue prelevato. L'analisi ha permesso di identificare correttamente gruppi di fino a 50 persone con Parkinson in database che contenevano anche valori di persone sane.
Non solo: il test si è anche "accorto" che la quantità di DNA mitocondriale danneggiato era più elevata nel sangue di un paziente con Parkinson portatore di una rara mutazione (la LRRK2) che eleva il rischio di ammalarsi di questa patologia.
In seguito, usando questo tipo di analisi, il team è riuscito a rintracciare danni al DNA mitocondriale nel sangue di persone portatrici della LRRK2 che, però, ancora non mostravano i sintomi del Parkinson: un fatto che fa sperare che si possano individuare i pazienti a rischio prima che sviluppino la malattia in forma grave, anche quando (come avviene nel 90% dei casi) non sono portatori della LRRK2.
Altri passi da fare. Finora il test è stato usato soltanto per individuare i pazienti (di cui era già nota la diagnosi) in modo retrospettivo, a partire da campioni di sangue già conservati, come in una sorta di ricerca d'archivio. Occorrerà capire se sia altrettanto accurato nel trovare i casi di Parkinson in un trial prospettico, che segua cioè i pazienti nel tempo per valutare se prima o poi svilupperanno la malattia.
Non solo diagnosi. Come spiegato su Science, lo studio apre possibilità interessanti anche per la clinica e la ricerca. Il nuovo test potrebbe aiutare a capire con maggiore precisione se i pazienti coinvolti nelle sperimentazioni di nuovi farmaci contro il Parkinson stiano realmente traendo beneficio dai medicinali: si studia per esempio un composto che, agendo sul gene LRRK2, ha dimostrato in studi su animali e colture cellulari di ridurre i danni al DNA mitocondriale.
Altre spie utili. Il DNA danneggiato non è l'unico possibile marcatore per individuare il Parkinson dal sangue. Di recente, un altro team di ricercatori ha scoperto che le concentrazioni di una forma malripiegata di una proteina neurale - l'alfa-sinucleina - nel liquido spinale dei pazienti permettono di individuare in modo accurato chi è affetto dalla malattia nell'88% dei casi. Si sta ora lavorando a un test che sappia rintracciare questa proteina (che si accumula nel cervello di chi è malato di Parkinson) anche nel sangue.