Come faccia una cellula uovo fecondata a trasformarsi in un embrione che cresce e si diversifica è, ancora oggi, uno dei misteri più affascinanti della biologia umana. Ora un gruppo di scienziati è riuscito in parte a replicare questo processo in laboratorio, generando un embrione di topo a partire non da cellule sessuali ma da due tipi di staminali, che si sono riorganizzate e coordinate ripercorrendo le prime fasi della gestazione, così come sarebbe avvenuto nell'utero.
L'esperimento dell'università di Cambridge non ha come scopo la creazione di un embrione - di topo, o umano - capace di crescere fuori dall'utero (non sarebbe comunque possibile). È servito invece a indagare le prime fasi dello sviluppo embrionale, quelle che precedono l'impianto: si pensa che due terzi delle gravidanze umane fallisca in questa fase, prima ancora che una donna possa rendersi conto di essere incinta. Lo studio è stato pubblicato su Science.
Gli ingredienti. I ricercatori hanno mischiato cellule staminali embrionali a piccoli gruppi di trofoblasti, le cellule che vanno a formare la placenta, che nutrono l'embrione ma non partecipano direttamente alla sua formazione. Il tutto è stato lasciato in un gel semisolido che ha permesso alla struttura di crescere nelle tre dimensioni.
Che cosa è accaduto. Dopo 5 giorni, l'ammasso di cellule si era già differenziato e organizzato in diverse popolazioni, come se le staminali si fossero coordinate, posizionandosi in luoghi diversi. Da una parte i trofoblasti, dall'altra le cellule embrionali una cui piccola parte era pronta a specializzarsi nel mesoderma, le cellule che di norma danno origine a cuore, ossa e muscoli.
L'esperimento è proseguito in tutto per 7 giorni, un terzo del periodo di gestazione di un topo, e in ogni caso non sarebbe sfociato in un feto sano: mancava infatti una terza popolazione di staminali, quella che forma il sacco vitellino, che nutre l'embrione attraverso una serie di vasi sanguigni.
Passo in avanti. Prima d'ora riprodurre queste prime fasi dello sviluppo della vita in tre dimensioni e in laboratorio si era rivelato arduo, così come osservarle dal vivo: l'ammasso di cellule è infatti ancora troppo piccolo per essere osservato direttamente nell'utero.








