La totalità dei pazienti con COVID-19 sviluppa anticorpi contro il SARS-CoV-2: è il risultato di uno studio compiuto su 285 persone ricoverate per coronavirus in tre diversi ospedali della provincia cinese dell'Hubei, primo epicentro dell'epidemia. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Medicine, aggiunge informazioni importanti alla finora lacunosa conoscenza della risposta anticorpale messa in campo contro il virus, e dà speranze concrete che si possa formare un'immunità contro una seconda infezione.
qui per restare. Entro 19 giorni dall'inizio dei sintomi, il 100% dei pazienti studiati ha sviluppato immunoglobuline IgG, gli anticorpi prodotti durante il primo incontro con un agente infettivo che emergono nella fase più avanzata della malattia, quando termina la produzione di anticorpi IgM (la linea di difesa più immediata). Le IgG permangono più a lungo nell'organismo e offrono una protezione più duratura, in genere sufficiente a prevenire una nuova infezione dello stesso tipo. I test hanno mostrato livelli diversi di IgG nei soggetti analizzati, apparentemente scollegati dalle caratteristiche cliniche individuali.
Una speranza di protezione. La scoperta suggerisce che i test sierologici possano essere uno strumento di diagnosi affidabile nel caso di sospetti pazienti COVID con tampone negativo o pazienti asintomatici non sottoposti a tampone. Ma, se gli anticorpi si rivelassero protettivi, potrebbe essere una buona notizia anche per la tanto sospirata immunità al SARS-CoV-2. Come ha scritto su Facebook l'immunologo della Emory University Guido Silvestri, commentando la notizia: «Lo studio è importante in quanto conferma che il nostro sistema immunitario monta una risposta anticorpale contro il virus, risposta che con tutta probabilità, basandosi sui precedenti di SARS-1 e MERS oltre che sui modelli animali di infezione da coronavirus, protegge dalla reinfezione o almeno dal ritorno della malattia. Non possiamo sapere quanto dura questa risposta ma i precedenti con virus simili suggeriscono che dovrebbe durare almeno 12-24 mesi».
La questione "recidive". La ricerca è stata pubblicata in contemporanea a una precisazione dell'Università Nazionale di Seoul (Corea del Sud) sulla questione dei 260 pazienti risultati positivi dopo giorni e in alcuni casi alcune settimane dalla completa guarigione. Gli scienziati hanno spiegato di essere convinti che non si tratti di nuovi casi di infezioni o di riattivazioni del virus, ma di frammenti del materiale genetico del virus che, anche se ormai annientato, può impiegare mesi a sparire completamente dall'organismo. Si sarebbe trattato, quindi, di falsi positivi.