Una ricerca dell'Istituto Humanitas Rozzano, sostenuta da AIRC, ha identificato un batterio del microbiota intestinale che determina le metastasi al fegato, nei pazienti con cancro del colon. Si tratta dell'Escherichia coli C17 che, secondo lo studio pubblicato su Cancer Cell, è in grado di attraversare la barriera che separa l'intestino dal circolo sanguigno e di arrivare al fegato, dove crea le condizioni adatte alla formazione del tumore secondario. I ricercatori hanno anche individuato una proteina che, se presente nelle prime fasi della malattia, indica quali pazienti potranno sviluppare, negli anni seguenti, le metastasi al fegato.
La formazione del tumore secondario si svolge a tappe. «Inizialmente Escherichia coli C17 si fa strada attraverso la barriera vascolare intestinale ed entra nei vasi. Questo primo passaggio avviene grazie a una proteina batterica chiamata virf-1, che modifica la barriera, rendendola permeabile al passaggio del batterio stesso e delle cellule tumorali» spiega Maria Rescigno, direttrice dell'Unità di immunologia delle mucose e microbiota di Humanitas, e coordinatrice dello studio. «In seguito, la presenza del microrganismo nel fegato scatena un'infiammazione e crea l'ambiente adatto affinché le cellule cancerogene, provenienti dal colon, attecchiscano e formino le metastasi».
Lo studio è stato condotto su 230 malati, che sono stati seguiti negli anni successivi al loro primo intervento di rimozione del tumore del colon. «Abbiamo scoperto che il processo che porta alla formazione di metastasi, con il coinvolgimento del batterio E.coli C17, si sviluppa esclusivamente se all'inizio della malattia è presente la proteina PV-1» prosegue Rescigno. «Questa proteina, infatti, indica che la barriera vascolare intestinale è compromessa ed è diventata permeabile». La scoperta permetterà in futuro di identificare precocemente i pazienti a rischio e di sottoporli a terapie mirate.
Normalmente, le metastasi del tumore del colon si sviluppano, nei polmoni oppure nel fegato, tramite il sistema linfatico. Per questo motivo, dopo l'intervento di rimozione, si analizzano i linfonodi: se risultano positivi alla presenza di cellule cancerogene si ricorre a terapie più aggressive. A volte però i pazienti sviluppano tumori secondari al fegato, anche se i linfonodi erano negativi. «Un paio di anni fa un altro gruppo di ricerca aveva proposto che in questi casi le cellule del tumore raggiungessero l'organo passando dal circolo sanguigno, e non dai vasi linfatici» conclude Rescigno. «Il nostro studio ha confermato l'esistenza di questa seconda via».