La guerra contro la CoViD-19 ci sta facendo arretrare nella lotta a un'altra infezione: la tubercolosi. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2020 1,4 milioni di persone in meno hanno ricevuto le cure necessarie per contrastare questa malattia polmonare rispetto all'anno precedente. La pandemia ha causato l'interruzione di servizi sanitari essenziali proprio nei Paesi più poveri e vulnerabili alla patologia. Nella Giornata Mondiale della lotta alla tubercolosi (World TB Day), che si celebra il 24 marzo, ci ritroviamo a fare di nuovo i conti con le ricadute della covid sulle altre emergenze sanitarie mondiali, finite in secondo piano nell'ultimo anno.
Chi colpisce di più? La tubercolosi è una delle prime 10 cause di morte al mondo causate da un singolo agente infettivo. È un'infezione polmonare provocata dal batterio Mycobacterium tuberculosis, anche conosciuto come Bacillo di Koch (dal nome del medico tedesco che lo scoprì). Ogni anno 10 milioni di persone contraggono questa malattia, che miete 4.000 vittime al giorno. Due terzi dei casi si verificano in otto Paesi: India, Indonesia, Cina, Filippine, Pakistan, Nigeria, Bangladesh e Sudafrica.
Le persone con HIV corrono un rischio 18 volte più alto di infezione da tubercolosi, e anche altre condizioni che debilitano il sistema immunitario, come la malnutrizione, aumentano le probabilità di contrarre la malattia. Nel 2019 ben 2,2 milioni di casi sono risultati collegati a un'alimentazione inadeguata.
Cure lunghe e precise. La tubercolosi si trasmette da persona a persona per via aerea; un quarto della popolazione mondiale ha silenziosamente contratto l'infezione, ma solo il 5-10% di chi ospita il batterio in forma latente svilupperà i sintomi nel corso della vita. I segni della malattia - tosse, febbre, sudorazione notturna, perdita di peso - possono essere lievi per alcuni mesi, e questo facilita il ritardo della diagnosi e la diffusione dell'infezione. Fortunatamente, la tubercolosi è una malattia curabile e prevenibile.
Il trattamento farmacologico prevede la somministrazione di diversi antibiotici per un lungo periodo di tempo (lo standard è di 6 mesi). Una cura completa che rispetti le giuste tempistiche è importante per evitare l'insorgenza di ceppi resistenti a farmaci: si capisce allora perché la pandemia abbia così duramente influito sull'aderenza al trattamento. L'OMS teme che nel 2020 siano decedute per tubercolosi mezzo milione di persone in più, che non sono riuscite a ottenere una diagnosi o a portare a termine i trattamenti necessari.
Screening e prevenzione. L'OMS ha inoltre raccomandato lo screening sistematico del batterio in alcune categorie particolarmente a rischio: i contatti familiari dei pazienti con tubercolosi, le persone sieropositive, i detenuti, i lavoratori esposti a silicati (come i minatori).
Occorrerà inoltre incrementare la prevenzione nelle popolazioni vulnerabili con limitato accesso ai servizi sanitari, come le comunità urbane più povere, i senzatetto, migranti, rifugiati, comunità remote e isolate e altri gruppi tenuti ai margini della società.
L'esordio della tubercolosi si può prevenire con alcuni farmaci da somministrare a chi è colpito da infezione latente (cioè ancora senza sintomi) o con un vaccino vivo attenuato (il cosiddetto bacillo di Calmette Guérin), utile a prevenire le forme gravi infantili della malattia nei neonati e nei bambini, utilizzato nei Paesi con un'elevata incidenza della patologia.