Un ampio studio condotto in Veneto apre uno spiraglio di speranza sulla possibilità di rafforzare le difese contro COVID-19 nella fascia di popolazione potenzialmente più a rischio, quella degli uomini in età avanzata. In base alla ricerca svolta su 4.532 uomini affetti da COVID-19, i pazienti sottoposti a una particolare terapia ormonale per il tumore alla prostata correrebbero rischi minori di contrarre l'infezione, e se contagiati, avrebbero sintomi più lievi.
La terapia in questione è quella di deprivazione androgenica, che contrasta la produzione di testosterone nei testicoli maschili perché questo ormone stimola la crescita delle cellule tumorali. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista medica Annals of Oncology.
Vulnerabili ma protetti. Il gruppo di scienziati guidati da Andrea Alimonti dell'Università della Svizzera Italiana ha osservato che i pazienti oncologici di sesso maschile corrono un rischio di infezione da COVID-19 1,8 volte più alto rispetto alla popolazione maschile generale, e che quando contraggono la malattia, hanno sintomi più seri.
Su 4.532 uomini con COVID-19, 430 (il 9,5%) avevano il cancro e 118 (il 2,6%) avevano un tumore alla prostata. Non sono numeri trascurabili. Tuttavia, quando il team ha esaminato i dati sui pazienti con tumore alla prostata dell'intero Veneto, si è accorto che su 5.273 uomini in terapia di deprivazione androgenica (ADT), solo 4 avevano avuto la COVID-19 e nessuno con esiti fatali.
Per fare un confronto, su 37.161 pazienti con tumore alla prostata che non stavano ricevendo la terapia ADT, 114 hanno avuto la COVID-19 e 18 sono deceduti. Su 79.661 pazienti con altri tipi di cancro, 312 hanno contratto l'infezione da coronavirus e 57 sono morti.
Il ruolo degli ormoni. In sostanza, spiega Alimonti, «i pazienti con tumore alla prostata che ricevevano terapie di deprivazione androgenica correvano un rischio ridotto di quattro volte di infezione da COVID-19 rispetto ai pazienti non in ADT. Una differenza ancora maggiore è stata trovata confrontando i pazienti con tumore alla prostata sotto ADT con quelli con altri tipi di cancro: nel primo gruppo c'era una riduzione di oltre cinque volte del rischio di infezione».
Secondo i ricercatori, lo studio suggerisce che anche gli uomini che non hanno un tumore alla prostata potrebbero beneficiare di questo tipo di terapia, per un decorso meno aggressivo se contraggono la COVID-19, ma anche a scopo preventivo. Se somministrate sotto controllo medico e per periodi di tempo ridotti (meno di un mese) queste terapie non danno effetti collaterali significativi.
Anche se i dati andranno validati su campioni ancora più estesi di pazienti, queste prime informazioni sembrano confermare che gli ormoni androgeni come il testosterone possono favorire le infezioni da coronavirus e influire sulla gravità dei sintomi.
Ingresso bloccato. Il motivo sarebbe da ricercare in una proteina - la TMPRSS2 - che aiuta il SARS-CoV-2 a invadere le cellule. La TMPRSS2 fa parte di una famiglia di proteine coinvolte nella diffusione di cancro e infezioni nell'organismo. La si trova in alti livelli nei pazienti con tumore alla prostata e la sua azione è regolata da un recettore per gli androgeni preso di mira nelle terapie di deprivazione androgenica. Questo recettore regola i livelli della proteina anche in tessuti diversi da quello della prostata - per esempio, nei polmoni. L'idea è che le terapie ormonali citate regolino i livelli della TMPRSS2 anche nelle parti del corpo aggredite dal SARS-CoV-2 e che questo impedisca al virus di attaccare le cellule.
Prima di giungere a un verdetto definitivo sulle ADT occorreranno altre ricerche, ma intanto, questi trattamenti potrebbero affiancare gli altri approcci sperimentali messi in campo contro la pandemia.