Lunedì 4 marzo 2013, ad Atlanta (USA) durante la Conferenza annuale su retrovirus e infezioni opportunistiche, Deborah Persaud del Johns Hopkins Children's Center di Baltimora aveva annunciato che una bimba, nata nel luglio 2010 con il virus dell'Aids e precocemente trattata per un anno e mezzo con dosi massicce di antivirali, poi sospesi, risultava da mesi sieronegativa.
Tutti avevano cantato vittoria, pochi i guastafeste: fra questi ultimi, Focus invitava alla cautela: l'assenza di particelle rilevabili di virus non significa guarigione, spiegavamo. Ma aggiungevamo che l'elenco dei pazienti che riusultavano tenere il virus sotto controllo pur senza assumere terapia antiretrovirale era assai più lungo. Elencavamo infatti 16 pazienti in remissione e altri 11 pazienti in lista di attesa per sospendere la terapia antiretrovirale. Fra questi ultimi c'erano anche 2 pazienti di Boston che, dopo aver subito un trapianto di midollo per curare la leucemia insorta successivamente, attendevano il via libera per il senza rete.
17 luglio 2014: il disastro aereo (vedi Esperti mondiali di Aids muoiono nel disastro aereo in Ucraina) potrebbe avere ricadute sulla ricerca in una misura che non possiamo ancora valutare.
Purtroppo avevamo ragione a essere prudenti: i due pazienti di Boston, ai quali la terapia è stata in effetti sospesa nel luglio 2013, hanno avuto segni di ricaduta; la brutta notizia è stata data ai primi di dicembre dello scorso anno dal loro medico, Tim Heinrich, del Brigham and Women's Hospital di Boston, durante un congresso tenutosi a Miami in Florida. E il 10 luglio scorso, una nota degli NIH (National Institutes of Health) di Bethesda comunicava che nel sangue di Baby Jackson, che oggi ha 4 anni, il virus era tornato rilevabile. Sia i pazienti di Boston, sia il bebè del Missisipi sono tornati in terapia con antiretrovirali.
Resistono ancora molti pazienti che controllano il virus autonomamente: prima di tutto Timothy Ray Brawn, il cosiddetto Paziente di Berlino, al quale nel 2007, per curare una leucemia, è stato trapiantato il midollo osseo, cioè le staminali del sistema immunitario di un paziente geneticamente resistente all'infezione del virus HIV grazie a una mutazione nota con il nome di CCR5 delta 32.
A marzo dell'anno scorso i ricercatori francesi che seguono la Cohorte Visconti, un gruppo di 14 pazienti trattati prematuramente per 18 mesi, a partire dai primissimi sintomi simil-influenzali dell'infezione e ai quali è poi stata sospesa la terapia, segnalavano che i più vecchi del gruppo sono in remissione da 7 anni. Da marzo dell'anno scorso non ci sono invece notizie fresche dei 9 adolescenti di Worcester: non si sa quindi se la loro terapia sia stata sospesa o non ancora.
Ma i ricercatori hanno imparato qualcosa anche da questi parziali fallimenti. Primo: c'è bisogno di test più sensibili di quelli ora in uso. Secondo: sono necessari farmaci capaci di snidare e colpire i santuari nei quali il virus si nasconde senza replicarsi: i farmaci oggi a disposizione colpiscono solo il virus in replicazione. Questi farmaci, chiamati in generale LRA (latency reversing agents), non si sa ancora di quanto debbano essere capaci di ridurre le cellule nelle quali il virus si nasconde.
Un articolo appena pubblicato sulla rivista scientifica Pnas dimostra che la ricerca va in quella direzione. Sono in corso sperimentazioni cliniche su farmaci che si spera siano efficaci su questi pazienti, vedremo con quali risultati, ma i matematici di Harvard e Zurigo calcolano, con i loro modelli, che per interrompere definitivamente la terapia antiretrovirale sono necessari farmaci capaci di ridurre queste cellule di 10 mila volte, mentre i farmaci ora in sperimentazione sarebbero in grado di ridurle solo di 2 mila volte, riduzione che consentirebbe la sospensione della terapia per un solo anno prima di una ricaduta.