Negli ultimi anni siamo tutti diventati familiari con il concetto di spillover, il salto di specie per cui un patogeno degli animali diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi anche nell'uomo. Ma se questa fuoriuscita da una specie "serbatoio" è, per i virus, abbastanza frequente, complice la penetrazione umana negli ecosistemi, quanto è diffusa invece, tra i superbatteri? In base a una nuova analisi pubblicata su Nature Microbiology, non è poi così facile che i batteri resistenti agli antibiotici cambino nicchia ecologica e si trasmettano dalla natura all'uomo.
Superbatteri lombardi. Un gruppo di ricerca di cui fanno parte anche scienziati del Policlinico San Matteo di Pavia e del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell'Università di Milano presso l'Ospedale Luigi Sacco, ha sequenziato quasi 3.500 genomi dei batteri del genere Klebsiella raccolti in poco meno di 18 mesi in diversi contesti (ospedalieri, veterinari, comunitari, agricoli, da animali selvatici e da fonti ambientali), attorno alla città di Pavia.
Nella metà dei casi si trattava di batteri Klebsiella pneumoniae, patogeni particolarmente resistenti agli antibiotici che attaccano i pazienti immunodepressi e provocano polmoniti, meningiti, infezioni del sangue o alle vie urinarie.
Quali ospiti? La premessa, spiegano gli autori del lavoro su The Conversation, è che la trasmissione dei superbatteri tra due ospiti o contesti (per esempio, tra uomo e uomo o tra animali e uomo) ha come risultato due campioni di batteri con identico genoma anche se estratti da fonti diverse.
Confrontando il Dna dei superbatteri raccolti in un breve arco di tempo e in una zona circoscritta del Nord Italia gli scienziati hanno tentato di analizzare il tipo di trasmissione in corso, e anche di capire se il K. pnuemoniae, un batterio ospedaliero che ha sviluppato resistenza ai carbapenemi, tra gli antibiotici di ultima risorsa, sia capace di diffondersi all'esterno del contesto clinico.
Due fatti confortanti. La prima notizia rassicurante è che gli autori non hanno trovato prove della diffusione di Klebsiella resistente ai carbapenemi fuori dal contesto ospedaliero. Probabilmente, la capacità di indossare uno scudo permanente contro gli antibiotici ha un costo, cioè la minore capacità di entrare in compezione con altri batteri diffusi all'esterno degli ospedali.
La seconda è che gli esseri umani contraggono quasi sempre infezioni da superbatteri da altri umani anziché da animali o da fonti ambientali. Allo stesso modo, gli animali di solito infettano altri animali, le piante altre piante. Non significa che il passaggio di regno e di specie sia impossibile, ma piuttosto che i superbatteri sono molto ben ambientati al loro contesto ecologico e che questo funge da barriera quando provano a cambiarlo.
Un ceppo di superbatterio può essere ben adattato a una mucca e potenzialmente in grado di colonizzare temporaneamente un essere umano, ma non durerebbe molto in mezzo a nuovi batteri rivali che conoscono bene il loro ospite, e non sarebbe in grado di proseguire a lungo la catena di trasmissione da uomo a uomo.
Restare allerta. È possibile che per altre famiglie di superbatteri o in altri contesti geografici dove è maggiore la vicinanza tra uomo e animali le cose vadano diversamente.
Lo studio non deve persuadere ad abbassare la guardia circa la minaccia dell'antibiotico-resistenza, considerata dall'OMS uno dei rischi maggiori per la salute pubblica. Intanto, perché gli umani rappresentano la maggiore minaccia di trasmissione per altri umani e dunque il rischio permane, soprattutto all'interno degli ospedali. E poi perché il passaggio di specie, seppure più difficile non è impossibile, e i rischi di quando questo accade sono sotto gli occhi di tutti.