I consumatori abituali di cannabis che fumano varietà o mix più potenti hanno un più alto rischio di incorrere in episodi psicotici: è il risultato di uno degli ultimi studi sui possibili effetti del consumo di marijuana, che si aggiunge alla lunga lista dei tentativi di chiarire se e quanto faccia male consumare per uso ricreativo questa droga leggera.
I criteri dello studio. Il dibattito sulle conseguenze per la salute va avanti da tempo, con ricerche che di volta in volta minimizzano o enfatizzano i rischi.
Per questo studio, pubblicato su Lancet Psychiatry, sono stati esaminati i casi di circa 900 persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni, che tra il 2010 e il 2015 si sono presentati per un episodio di psicosi in dieci centri di psichiatria in diversi Paesi europei (in Italia a Verona, Bologna e Palermo) e in un ulteriore centro in Brasile.
Come paragone, i ricercatori hanno usato altre 1.000 persone che vivono negli stessi luoghi, ma che hanno dichiarato di non fare uso di cannabis.
In base al nome comune del tipo di sostanza utilizzata (per esempio skunk e sensimilla, denominazioni di marijuana di strada) i ricercatori sono risaliti a una stima della concentrazione del principio attivo, suddividendo le varie sostanze in "potenti" (THC superiore al 10 per cento) e "leggere" (THC inferiore al 10%). I ricercatori hanno poi calcolato la correlazione tra l’uso di sostanza più o meno forte e gli episodi di psicosi.
Alte e basse concentrazioni. È risultato che, in generale, le probabilità di avere un episodio psicotico erano tre volte superiori per coloro che facevano uso abituale di cannabis (ovvero tutti i giorni) rispetto a coloro che la fumavano raramente o mai. Ma, in particolare, tra gli utilizzatori della cannabis “potente”, il rischio di psicosi è risultato cinque volte superiore rispetto alla popolazione che non ne fa uso.
I ricercatori hanno anche stimato che se la cannabis con alte concentrazioni di THC non fosse più disponibile sul mercato, si verificherebbero fino al 50 per cento in meno di episodi di psicosi in città come Amsterdam, dove la sostanza con queste concentrazioni è quasi la norma, e il 30 per cento in meno a Londra, un’altra delle città prese in esame.
Quanto fa male? Da tempo, e soprattutto da quando in diversi Paesi il consumo di marijuana per uso medico o ricreativo è stato liberalizzato, si discute sulle conseguenze dell’utilizzo, specialmente di quello a lungo termine, e specialmente da parte di adolescenti e giovani.
Molti studi (e l’opinione comune) dicono che gli spinelli, rispetto ad altre sostanze, siano tutto sommato “meno pericolosi”. Sono però innocui? Sulla questione il dibattito scientifico è aperto e complesso.
Un rapporto della National Academies of Sciences americana del 2017 ha esaminato la mole di ricerche sull’uso della cannabis per scopi medici o ricreativi. In campo terapeutico, gli unici benefici accertati sono nel trattamento di alcuni sintomi della sclerosi multipla, e contro il vomito e la nausea da chemioterapia per i pazienti oncologici. Sulla questione degli effetti negativi del consumo ricreativo, il rapporto conferma l’idea che in generale la marijuana è “meno pericolosa” di altre droghe (anche perché non sono mai state stabilite con certezza morti da overdose), ma che presenta comunque alcuni rischi per la salute: bronchiti e altri sintomi respiratori per i fumatori di lunga data, un rischio più alto di schizofrenia e psicosi, oltre che di incidenti stradali, per i consumatori abituali.
Tra sospetti e conferme. Il nuovo studio indaga sui rischi di problemi psichiatrici come la psicosi, sospettati ma mai del tutto confermati, e li mette in relazione con le concentrazioni del principio attivo. Il fatto che i nuovi spinelli siano più forti "di quelli di una volta" è un dato ormai assodato: le analisi sui sequestri hanno dimostrato che la quantità di principio attivo può essere da 4 a 28 volte superiore rispetto ad anni fa. È proprio la pianta di cannabis ad essere stata potenziata, con incroci e particolari tecniche di coltivazione.
Anche quest’ultimo studio, tuttavia, benché confermi sospetti già emersi in questi anni, non può essere considerato conclusivo. Innanzi tutto perché si tratta di uno studio osservazionale: meno affidabile da un punto di vista epidemiologico per stabilire relazioni di causa-effetto. Inoltre, le concentrazioni del principio attivo della cannabis non sono state misurate direttamente, ma “desunte” dal tipo di prodotto che i consumatori hanno affermato di avere usato.
Infine, anche in questo caso, non è stato osservato un preciso rapporto di causa-effetto tra consumo di cannabis ed episodi psicotici, ma solo una correlazione. In altre parole, non si può escludere che le persone a maggior rischio di psicosi per fattori genetici o ambientali siano quelle che con più probabilità fanno uso di cannabis, anziché viceversa. La parola "fine" sull'argomento non è ancora stata scritta, ma certo questo studio suona un campanello d'allarme sui "nuovi spinelli", che con quelli dei figli dei fiori hanno davvero poco a che fare.