Incoraggiare un particolare ritmo cerebrale attraverso vari tipi di stimolazione potrebbe dare benefici alle persone con malattia di Alzheimer: l'ipotesi esiste da tempo, ma ora una ricerca sui topi chiarisce meglio i meccanismi di base che lo rendono possibile.
Secondo lo studio, pubblicato su Nature, stimolare i ritmi gamma a 40Hz incoraggia la rimozione degli accumuli di proteina beta-amiloide tipici dell'Alzheimer aumentando l'attività del sistema glinfatico, che elimina le scorie dal cervello.
Il ritmo giusto per ricordare. I ritmi o onde cerebrali sono oscillazioni ritmiche e ripetitive di attività elettrica che derivano dal lavoro sincronizzato di cellule e circuiti del sistema nervoso centrale, necessario per i vari processi cognitivi. Le onde cerebrali, indicate con varie lettere dell'alfabeto greco, si distinguono in base alla frequenza e sono individuabili attraverso la registrazione dell'attività elettrica dell'encefalo o encefalografia (EEG).
Le onde gamma o ritmi di frequenza gamma a basso raggio, quelli di circa 40 cicli al secondo (Hz), caratterizzano gli stati cerebrali di particolare tensione e sembrano avere un ruolo importante nella memoria.
Ormai dal 2016 si ipotizza che stimolare le onde a questa frequenza attraverso input sensoriali (per esempio luci intermittenti o suoni sincronizzati a 40 Hz) o in altri modi possa avere effetti clinici positivi nei pazienti con Alzheimer.
Uno stimolo a ripulire. In una serie di esperimenti coordinati da Li-Huei Tsai, neuroscienziata e direttrice del Picower Institute for Learning and Memory e della Aging Brain Initiative del MIT di Cambridge, Massachusetts, emerge che la stimolazione di ritmi gamma a 40Hz nei topi con l'equivalente dell'Alzheimer induce un particolare tipo di neurone a rilasciare segnali proteici (peptidi) che a loro volta promuovono la rimozione dell'amiloide.
A sbarazzarsi della proteina è il sistema glinfatico, un sistema di rimozione delle sostanze di scarto attraverso il liquido cerebrospinale, un fluido che circonda e riempie il cervello e il midollo spinale. Passate ricerche hanno infatti dimostrato che questo sistema può essere regolato anche dai ritmi cerebrali.
Una migliore circolazione. Mitch Murdock, primo autore dello studio, è partito col replicare i risultati di precedenti esperimenti del suo laboratorio, ossia col dimostrare che la stimolazione di onde gamma a 40 Hz aumentava l'attività neurale a quella stessa frequenza e riduceva i livelli di proteina amiloide nel cervello dei topi. A questo punto è passato a misurare i cambiamenti dei flussi del sistema glinfatico.
Nei topi trattati con la stimolazione si è in effetti osservato un aumento del fluido cerebrospinale nei tessuti cerebrali, e anche del ritmo con cui il fluido interstiziale (un liquido extracellulare) lasciava il cervello.
I vasi linfatici, che drenano via i fluidi, sono aumentati di diametro, e gli accumuli di amiloide nei linfonodi cervicali - il "sito di scarico" di tutto questo sistema di fluidi - sono cresciuti.
cancello aperto. Insomma tutto il sistema di pulizie sembrava funzionare a ritmo più sostenuto, forse - come è passato a dimostrare il team di scienziati - grazie all'attivazione di un particolare "canale" all'interno degli astrociti (le cellule che fungono da supporto ai neuroni) che serve a facilitare lo scambio di fluidi nel sistema glinfatico. Quando questo canale è stato bloccato, la stimolazione non ha ridotto i livelli di amiloide e la memoria dei topi non è migliorata.
In base ai test effettuati, la pulizia dell'amiloide potrebbe essere stata facilitata dal rilascio di un particolare peptide (un frammento di proteina) da parte di una classe di neuroni e in risposta alla stimolazione effettuata. Questo peptide, chiamato VIP, è associato a benefici contro l'Alzheimer perché aiuta a regolare le cellule vascolari, la circolazione sanguigna e glinfatica.
Non una panacea. Gli autori sottolineano che questo è solo uno dei possibili meccanismi sottostanti gli effetti positivi della stimolazione dei ritmi gamma a 40Hz, e che, se i risultati sui topi sono stati osservabili in poco tempo, per iniziare a vedere eventuali benefici clinici sui pazienti ci vorrebbero mesi di trattamento continuo, e comunque le evidenze scientifiche di un effettivo miglioramento rimangono preliminari. Non sempre quello che si osserva sugli animali si traduce automaticamente nello stesso vantaggio per l'uomo.