Milano, 29 feb. (AdnKronos Salute) - Parla anche italiano la nuova arma contro la melioidosi, una malattia endemica nelle regioni tropicali e subtropicali. E' un prototipo di vaccino sviluppato dall'università Statale di Milano, in collaborazione con l'ateneo di Exeter (Regno Unito). I risultati sono stati pubblicati su 'Vaccines' e secondo gli autori hanno portato alla formulazione di antigeni più protettiva mai prodotta fino a oggi contro la melioidosi, grazie all'applicazione di nuovi approcci alla vaccinologia per la scoperta e caratterizzazione di antigeni ed epitopi.
La melioidosi - spiega una nota dall'ateneo di via Festa del Perdono - è una grave malattia causata dal patogeno batterico Burkholderia pseudomallei, endemica nelle regioni tropicali e subtropicali del mondo. La patologia si manifesta in diverse forme cliniche, come setticemia e insufficienza d'organo, con altissimi tassi di mortalità a causa della mancanza di test diagnostici adeguati, di trattamenti antibiotici inefficienti e di ricadute. La prevenzione, sotto forma di vaccino, è la soluzione migliore, assicura una nota della Statale.
Un vaccino di successo contro la melioidosi potrebbe potenzialmente salvare migliaia di vite, in particolare nel Nord‐Est della Thailandia, dove la patologia è la terza causa più comune di morte per malattie infettive (dopo l'Hiv e la tubercolosi), in Australia del Nord (Darwin), dove è la causa più comune di polmonite letale attribuita a setticemia acquisita dalla comunità.
Il lavoro anglo-italiano, finanziato da Fondazione Cariplo, è stato svolto dal gruppo di Richard Titball, presso l'università di Exeter, in collaborazione con altri laboratori inglesi e con Martino Bolognesi e Louise Gourlay dell'Unità di biologia strutturale presso il Dipartimento di bioscienze dell'università Statale.
Il vaccino è costituito da diverse proteine: alcune innescano la produzione di anticorpi, altre stimolano la risposta immunitaria innata, fornendo così una maggiore protezione contro l'infezione cronica.
Alla luce dei risultati riportati per le prove in modelli animali, conclude la Statale, si ritiene che gli studi clinici sull'uomo potranno iniziare in un futuro non troppo remoto.