Milano, 24 apr. (AdnKronos Salute) - La prima sensazione quando viaggi nello spazio è la terra che ti manca sotto i piedi. Poi capisci che non puoi muoverti e che le gambe non servono, mentre non puoi fare a meno delle mani per spingerti, appigliarti e fermarti. Se vuoi dormire devi legarti per non fluttuare, ancorandoti al pavimento, al soffitto o a una parete. La testa ondeggia e va bloccata con una cuffia a cuscino che immobilizza il collo. Ma soprattutto, in orbita si cresce: "Io mi ero allungato di 6-7 centimetri". Effetti collaterali dell'assenza di gravità, descritti dall'astronauta Paolo Nespoli alla platea del congresso 'Magenta Osteoarea' in corso a Milano. Il mondo della reumatologia che si confronta con figure apparentemente lontane dalla medicina: ospiti 'marziani' come Nespoli, ma anche l'agronomo, il magistrato, lo psicologo e l'esperto di domotica.
Nespoli, milanese, classe '57, è un autentico primatista dello spazio. Dal primo volo del russo Jurij Alekseevič Gagarin, nel 1961, il 'cosmo' ha ricevuto finora la visita di 546 astronauti da 40 Paesi del mondo. Nespoli è fra i 7 italiani che hanno sperimentato l'ebbrezza di un soggiorno galattico. Due le missioni che lo hanno visto protagonista: STS 120 (programma Space Shuttle, 16 giorni) e Sojuz TMA-20 (circa 6 mesi).
Più del decollo e della permanenza spaziale pesano l'atterraggio e il nuovo impatto con la realtà terrena: "La cosa più difficile è il ritorno a casa dopo mesi senza gravità", racconta Nespoli. "Al rientro è impressionante il peso che schiaccia il corpo, comprime la testa e schiaccia la colonna vertebrale". Perché in orbita la schiena 'non esiste': "Nello spazio non si soffrirebbe mai di mal di schiena o ernie al disco - assicura la reumatologa Magda Scarpellini, 'mamma' del meeting che si ripete ogni 2 anni - mentre è molto più alto il pericolo di osteoporosi".
Senza gravità, spiegano gli specialisti, la tensione di muscoli e legamenti si allenta e così la colonna vertebrale si distende. In altre parole, si 'stira': perde le fisiologiche curvature, disegnate da madre natura per aiutare chi cammina sulla terra ad assorbire meglio il carico del peso, e diventa rettilinea. Ecco perché nello spazio si cresce in altezza, "proprio per l'allungamento della colonna - continua Nespoli - La contropartita è al rientro", quando per il contraccolpo della gravità ritrovata "molti astronauti soffrono di forti mal di schiena dopo il ritorno della colonna vertebrale al solito carico compressivo".
Lo spazio, però, impoverisce le ossa: il rischio di osteoporosi s'impenna "per l'assenza di movimento sotto carico - precisa Scarpellini, responsabile della Divisione di reumatologia dell'ospedale Fornaroli di Magenta-Azienda ospedaliera di Legnano - Proprio come si verifica nelle persone sedentarie o allettate.
Per questo motivo per gli astronauti sono molto importanti l'esercizio fisico e l'integrazione di vitamina D".
Studi condotti in orbita hanno dimostrato che lo scheletro perde circa l'1% di massa ossea al mese, nonostante gli esercizi fisici regolari che gli esploratori dello spazio devono eseguire ogni giorno. "Si tratta di una velocità di rarefazione ossea molto superiore anche a quella che si osserva nelle persone invalide allettate", puntualizza la reumatologa.
Nella routine spaziale l'ideale sono 2 ore di esercizio fisico al giorno: un'ora di allenamento cardiovascolare su apposite cyclette o tapis-roulant, anche per evitare l'atrofia del cuore che in microgravità va 'a riposo', e un'ora di esercizio di resistenza su una piattaforma costruita dagli ingegneri della Nasa per fare piegamenti.
"In orbita la capacità muscolare è ridotta del 30%. Quindi a fine missione siamo addirittura più allenati e in forma", testimonia Nespoli. E siccome nello spazio è impossibile esporsi alla luce solare stimolando la produzione di vitamina D, per compensare l'assenza di raggi ogni pasto spaziale prevede una supplementazione di questo micronutriente pari a 400 UI (unità internazionali).
Sul podio di 'Magenta Osteoarea' anche il vicepresidente e assessore alla Salute della Regione Lombardia, Mario Mantovani. "Questo convegno internazionale è un contributo importante per l'alta valenza medica, e per il sostegno e la promozione a favore di una nuova cultura della prevenzione", afferma. "Sono più di 20 i centri di reumatologia attivi in regione", ricorda. "I malati di artrite reumatoide sono circa 50.000 - conclude - e le risorse allocate per la loro gestione sono soprattutto legate ai farmaci (52% dei costi complessivi), tra cui quelli biologici (29% delle risorse). E' quindi evidente che si pone un problema di sostenibilità economica, che può essere affrontato attraverso una rinnovata e corretta cultura di prevenzione".