Salute

Sospesi per due ore tra la vita e la morte

In un esperimento da fantascienza che ha appena ottenuto il via libera, chirurghi di Pittsburgh proveranno a salvare la vita di pazienti gravissimi con una tecnica simile all’ibernazione.

Tra le tante tecnologie mediche per cui si usa, a volte a sproposito, l’aggettivo “fantascientifica”, questa lo merita davvero: un’équipe di chirurghi del dipartimento di emergenza del UPMC Presbyterian Hospital di Pittsburgh, negli Stati Uniti, proverà a mantenere i pazienti che si presenteranno in arresto cardiaco e con ferite gravissime in una condizione sospesa tra la vita e la morte, una specie di ibernazione, nel tentativo di guadagnare tempo per compiere su di loro operazioni salva-vita.
La Food and Drug Administration americana, l’ente regolatorio in materia di farmaci e procedure mediche, ha dato il via libera a un test su dieci pazienti per verificare se questa tecnica, chiamata “animazione sospesa” (suspended animation) migliora le prospettive di sopravvivenza dei feriti gravi, in arresto cardiaco e che hanno perso copiose quantità di sangue, che attualmente si salvano in meno del 7 per cento dei casi.

Quasi morti
La tecnica, che sarà per il momento sperimentata solo su persone che non è stato possibile rianimare altrimenti, prevede di drenare dal corpo tutto il sangue, e di sostituirlo con una soluzione salina fredda che farà scendere la sua temperatura fino a 10°C.

Se tu fossi morto per un giorno non sarei in grado di portarti indietro. Ma stiamo parlando di 5-15 minuti. Se vieni raffreddato subito, è possibile riportarti in vita.

Peter Rhee, uno dei medici che ha inventato la tecnica

Tenendo il paziente in questo stato di ibernazione molto vicino alla morte (assenza di battito cardiaco, assenza di attività cerebrale, ipotermia), i chirurghi sperano di guadagnare circa due ore di tempo per operare le ferite che altrimenti sarebbero fatali. Poi il sangue verrà di nuovo pompato nel corpo e la temperatura riportata alla normalità. Il cuore, se tutto ha funzionato come sperato, dovrebbe ricominciare a battere per conto proprio, oppure verranno fatti ulteriori tentativi di rianimazione.

Il freddo che resuscita
Anche se sembra uscita da un romanzo, dietro questa procedura c’è una buona dose di ricerca scientifica. Raffreddare il corpo e i suoi tessuti serve a rallentare il metabolismo delle cellule e quindi a diminuire il loro consumo di ossigeno. Il cervello in particolare, che è l’organo più sensibile alla mancanza di ossigeno, in questa condizione dovrebbe resistere più a lungo senza danni permanenti. E questo è anche il motivo per cui ci sono casi di persone rianimate anche mezz’ora dopo essere cadute in laghi ghiacciati.

Questa la teoria. Nella pratica, questa tecnica è stata provata finora solo sui maiali da ricercatori della University of Michigan nel 2002. Negli animali sedati era stata indotta un’emorragia per simulare gli effetti di ferite gravi da arma da fuoco, poi il loro sangue era stato drenato e sostituito con due tipi differenti di soluzione. In entrambi i casi, la maggior parte degli animali era sopravvissuta senza conseguenze.

Corsa contro il tempo
Nello studio clinico di Pittsburgh, verrà fatto un confronto tra dieci pazienti trattati con la tecnica dell’animazione sospesa e dieci con le normali tecniche di rianimazione. Saranno le caratteristiche dei pazienti e la disponibilità dell’équipe necessaria, in pratica il caso, a decidere su chi verrà provata la procedura. Al contrario che nella prassi consueta, la FDA ha esentato in questo caso i medici dal richiedere al paziente o ai familiari il consenso informato: primo perché il paziente non sarebbe in grado di darlo, e non ci sarebbe neppure il tempo prr informare i familiari; secondo perché si tratta di un tentativo estremo per una persona che con ogni probabilità non sopravviverebbe comunque. Chi dovesse ritrovarsi vivo dopo essere stato con un piede nella fossa si suppone non abbia contestazioni da fare ai medici, ma c’è anche chi ha contestato questo principio e ritiene che il consenso vada ottenuto anche nelle situazioni di emergenza. Gli autori dello studio hanno però dovuto pubblicare sui giornali locali annunci in cui descrivono la sperimentazione: chi non volesse sottoporsi al tentativo di animazione sospesa nel caso si trovasse al pronto soccorso nelle condizioni descritte può dichiararlo.

«Ogni giorno dichiaro morte le persone. Non hanno segni di vita, nessun battito cardiaco, nessuna attività cerebrale» ha dichiarato al New Scientist Peter Rhee della University of Arizona a Tucson, che ha contribuito a mettere a punto la tecnica. «Firmo un pezzo di carta sapendo dentro di me che non sono davvero morte. Potrei, proprio in quel momento, sospenderle. Ma devo metterle in un sacco per cadavere. È frustrante sapere che c’è una soluzione».

Se è davvero una soluzione, si vedrà.

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15 aprile 2014 Chiara Palmerini
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