Profonda stanchezza, cefalea, dolori alle ghiandole e alle articolazioni, sonno non ristoratore: sono i sintomi della sindrome da fatica cronica o encefalomielite mialgica, tanto invalidanti quanto generici e difficili da ricondurre a una singola patologia. Anche per questa ragione la malattia, che può protrarsi per anni e interessa il 2,6% della popolazione mondiale, è particolarmente difficile da diagnosticare: spesso è stata ricondotta a una condizione psicologica, con i pazienti accusati di ingigantire, o persino inventare, il malessere.
Punto di svolta. Ora i ricercatori della Scuola di Medicina dell'Università di Stanford hanno individuato nel sangue di chi è affetto dalla condizione un gruppo consistente di biomarcatori, particolari proteine che segnalano la presenza di un'infiammazione in corso. Una notizia importante perché, finora, i biomarcatori tradizionalmente utilizzati per individuare alterazioni del sistema immunitario non erano consistenti nei pazienti con questa sindrome: non si trovavano, cioè, con sufficiente regolarità per essere considerati strumenti di diagnosi.
Colta sul fatto. Gli scienziati hanno cercato stavolta tra le chitochine, proteine che fungono da segnali di comunicazione tra le cellule del sistema immunitario, e tra queste e i tessuti. Confrontando il sangue di 186 persone con sindrome da fatica cronica e di 388 soggetti sani, hanno trovato 17 tipi di citochine che possono essere usate per risalire alla malattia.
Alterazione immunitaria. Ma c'è di più: tra queste, 13 sono associate a una condizione infiammatoria. Questa sindrome potrebbe essere quindi una malattia infiammatoria ancora poco conosciuta, ma a questo punto forse un giorno curabile. Le citochine incriminate non sono la causa, ma solo una traccia della patologia: un segnale chimico che permetterà di arrivare a un esame diagnostico.