Ogni anno il 18 febbraio ricorre la Giornata Mondiale della Sindrome di Asperger. La Sindrome di Asperger è una condizione che si colloca all'estremo più lieve dello spettro dell'autismo. È caratterizzata da difficoltà nelle interazioni sociali e nel fare amicizia, da problemi nel controllo, nella comprensione e nella comunicazione delle emozioni, da una certa goffaggine nei movimenti, da schemi di comportamento ristretti e stereotipati e da interessi insoliti per argomento e intensità (si veda il rapporto completo dell'Istituto Superiore di Sanità per una descrizione più esaustiva dei sintomi).
Dalla pubblicazione del DSM-5 (l'ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) nel 2013, la Sindrome di Asperger non è più considerata una categoria diagnostica a sé: non è cioè "etichettata" come una particolare e specifica forma di autismo, ma è invece inglobata nell'unica grande famiglia dei disturbi dello spettro dell'autismo. Perché?
Bisogni, non etichette. Alla base della riclassificazione c'è il fatto che l'autismo è caratterizzato da un insieme di condizioni cliniche e comportamentali che, seppur differenti, si esprimono lungo una linea continua, in un ventaglio di sfumature che varia da persona a persona e anche in un singolo individuo nell'arco di una vita. «L'idea è quella di assicurarsi che gli individui siano descritti per i loro bisogni specifici anziché farli rientrare in ristrette categorie», ha scritto su Spectrum News Francesca Happé, professoressa di neuroscienze cognitive al King's College London.
Anni di studi hanno sottolineato la somiglianza tra Sindrome di Asperger e autismo, ponendo come distinzione il fatto che nella prima sono assenti i disturbi del linguaggio e il ritardo cognitivo – tratti che comunque, non sono sempre presenti nell'autismo. La ridefinizione del 2013 è stata dunque anche pensata per evitare confusione nella diagnosi. Tuttavia, la decisione di uniformare i codici diagnostici non è stata generalmente ben accolta dalle persone con Sindrome di Asperger che hanno ricevuto la diagnosi prima della nuova definizione, e che continuano a riconoscersi nelle caratteristiche specifiche di questa sfaccettatura della condizione.
Oggi il termine Sindrome di Asperger rimane nel linguaggio clinico e comune ed è stato sostituito, nel DSM-5, dalla più lunga definizione disturbo dello spettro autistico di livello 1, senza compromissione intellettiva e del linguaggio associata.
Stereotipi pericolosi. Il codice diagnostico così modificato potrebbe contribuire a scalfire un luogo comune associato all'Asperger, quello di essere una forma di autismo spesso definito ad alto funzionamento.
Un'etichetta che si basa su come una persona appare e non su quanto sia facile o difficile per quella persona orientarsi nella vita di tutti i giorni, dover gestire situazioni di gruppo o interruzioni della routine.
Sofferenza invisibile. Come dimostrato in uno studio condotto dal Telethon Kids Institute e dall'University of Western Australia su 2.000 persone nello spettro autistico, individui definiti "ad alto funzionamento" perché privi di disabilità intellettiva, possono però presentare difficoltà nel comportamento adattivo, vale a dire nei compiti quotidiani considerati automatici come lavarsi i denti, allacciarsi le scarpe o prendere un autobus.
C'è insomma un grande scarto tra il quoziente intellettivo e la capacità di "funzionare" nelle incombenze pratiche della vita di tutti i giorni. Il problema è che l'espressione ad alto funzionamento, spesso associata all'Asperger, descrive un'apparente assenza di difficoltà, diventando pertanto un errato criterio per decidere chi è bisognoso di assistenza e chi no: in questo senso, l'estensione della definizione di autismo anche a persone con caratteristiche Asperger ha ampliato l'accesso a cure, terapie di supporto, interventi educativi a chi, prima della pubblicazione del DSM-5 nel 2013, non ne beneficiava.
Dimenticare. L'espressione Sindrome di Asperger è controversa anche per l'affiliazione al pediatra austriaco da cui la condizione prende il nome. Hans Asperger (1906-1980), prese parte al programma di eugenetica del nazismo, in un periodo storico, sotto il regime di Hitler, in cui la psichiatria era un pretesto per classificare le persone come "geneticamente adatte" o "inadatte". Fu in questo contesto che operò Asperger, sostenendo i bambini che considerava dalla parte favorevole dello spettro, dunque meritevoli di integrazione sociale, persino dotati di abilità speciali, e inviando quelli che considerava gravemente autistici al centro di eutanasia infantile Spiegelgrund di Vienna, dove venivano uccisi (per approfondire). Si comprende quindi il disagio nel riconoscere credito al lavoro di Asperger nella conoscenza di questa condizione.
Essere visti. Anche se ancora non abbiamo trovato un vocabolario adeguato per descrivere le molte sfumature dell'autismo, ricevere una diagnosi – come ha scritto Angelica Mereu su The Vision – può aiutare a scalfire un perenne senso di inadeguatezza e a ritrovare il proprio posto nel mondo, qualunque sia il nome che si decide di attribuire alle cose: «Certo, non sfarfallo le mani, capisco i modi di dire e so addirittura come essere sarcastica, ma il fatto è che non siamo un esercito di cloni, non ci sono caselle da barrare per rientrare nel manuale dell'autistico perfetto, ma caratteristiche personali e criteri diagnostici da soddisfare.
Finalmente, quest'anno, ho ottenuto la mia diagnosi di disturbo dello spettro autistico di livello 1 con caratteristiche riconducibili per convenzione clinica alla sindrome di Asperger».