Sì, nei casi di depressione grave che non traggono benefici dalla psicanalisi prima e dagli psicofarmaci poi, e in cui sia necessario alleviare rapidamente i sintomi (per esempio, per alto rischio di suicidio).
Consiste nell’applicare correnti elettriche sulla scatola cranica, inducendo uno shock elettrico del tessuto cerebrale e viene eseguito in anestesia generale. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia dell’elettroshock, anche se non è ben chiaro il motivo (sembra comunque che influenzi i livelli di alcune molecole responsabili della trasmissione nervosa). Oltre ai rischi dell’anestesia, può causare alterazioni temporanee della memoria.
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Evoluzioni
Praticato già nel ’700, l’elettroshock è stato messo a punto a fine Anni ’30 da Ugo Cerletti e Lucio Bini. Ebbe un iniziale successo, ma poi questioni etiche ne determinarono l’abbandono (si faceva senza anestesia). Negli ultimi anni è stato rivalutato per lo sviluppo di metodi di stimolazione meno invasivi; in particolare, la stimolazione magnetica transcranica (che si fa applicando campi magnetici per attivare precise aree cerebrali) sta ottenendo buoni risultati per la depressione.
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