Chi ha da poco riconquistato un tampone negativo, può godere per qualche mese di uno scudo anti-covid? Sarebbe bello, ma non è detto: dalla Spagna arriva la notizia di una donna contagiata due volte a distanza di 20 giorni, il più breve arco di tempo mai documentato tra un'infezione e l'altra. Il caso clinico è stato presentato durante il Congresso Europeo di Microbiologia e Malattie infettive (ECCMID) a Lisbona.
Due varianti diverse. La donna, una lavoratrice sanitaria di 31 anni, è risultata positiva durante un tampone di routine sul luogo di lavoro il 20 dicembre 2021. Totalmente asintomatica, è rimasta in isolamento 10 giorni prima di riprendere servizio ma il 10 gennaio, a distanza di tre settimane dal primo test positivo, ha sviluppato tosse, febbre e un generale malessere: un nuovo tampone ha confermato la positività alla covid. Quando i due test sono stati analizzati con più attenzione, si è capito che il primo contagio era dovuto alla variante Delta e il secondo ad Omicron.
Vaccini. La paziente era regolarmente vaccinata e aveva ricevuto il booster di richiamo 12 giorni prima dell'infezione di dicembre. Secondo Gemma Recio dell'Institut Català de Salut di Tarragona, tra gli autori dello studio, «dal caso emerge la potenzialità della variante Omicron di eludere le precedenti difese immunitarie acquisite in seguito a un'infezione naturale per altre varianti o grazie ai vaccini».
In altre parole, continua la biologa molecolare «le persone che hanno avuto la CoViD-19 non possono dare per scontato di essere protette da reinfezioni, anche se sono pienamente vaccinate. Ciò nonostante, sia le precedenti infezioni per altre varianti sia i vaccini sembrano proteggere parzialmente dalla malattia grave e dall'ospedalizzazione se si è colpiti da Omicron».
Che cosa aspettarsi. Ora che Omicron è la variante prevalente, e si riducono i casi di infezione da Delta, è possibile che un doppio contagio per la stessa variante sia meno frequente. Tuttavia, se la covid virasse per davvero da malattia pandemica a infezione endemica, tutti saremmo destinati ad ammalarci più volte, a distanza di mesi o all'arrivo della stagione invernale. Lo studio sottolinea l'importanza della sorveglianza genomica anche ora che i sintomi sembrano - per i vaccinati - assimilabili a quelli influenzali. Solo così è possibile conoscere la capacità di una variante di bucare le difese immunitarie, e cogliere l'insorgenza di eventuali nuove varianti.