La decisione presa qualche ora fa dal TAS di Losanna (Tribunale di Arbitrato dello Sport, una specie di Corte di Cassazione per la giustizia sportiva) nell'ambito della disputa tra la IAAF (la federazione internazionale di atletica leggera) e l'atleta sudafricana Caster Semenya, è solo l'ultima puntata di una vicenda lunga e ingarbugliatissima: in sintesi, il TAS ha ritenuto legittima la decisione della IAAF di escludere d'ora in poi dalle competizioni Semenya e le altre atlete che, come lei, presentino una concentrazione troppo elevata di testosterone nel sangue.
Al caso della campionessa sudafricana, visto dalla scienza, è dedicato l'articolo Il corpo del reato del numero 321 di Focus (in edicola in questi giorni) che analizza la vicenda dal punto di vista di medici e di esperti di bioetica.
Casi simili nella storia. Ma la vicenda di Semenya ha diversi precedenti. Fra i casi più noti ci sono quelli della polacca Stella Walsh, oro nei 100 metri alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932, e di Helen Stephens, che a Berlino, nel 1936, vinse due ori, nei 100 metri e nella staffetta 4x100. Sul sesso di entrambe furono avanzati dubbi e la Stephens fu sottoposta ad accertamenti, risultando donna. Stella Walsh invece morì in una rapina nel 1980 e l’autopsia rivelò che aveva un cromosoma X e uno Y.
Un altro caso riguardò Dora Ratjen, che nel 1938 vinse per la Germania i campionati europei di salto in alto, stabilendo il record mondiale. Si scoprì però che era un uomo: fu arrestato e la medaglia fu confiscata. Verifiche successive stabilirono che Dora aveva tratti sessuali ambigui, tanto che alla nascita non si sapeva se dichiararla maschio oppure femmina.