Salute

Se ingrassate, non incolpate il piatto di pasta

Un nuovo studio scagiona (quasi del tutto) la pasta dall'accusa di principale attentatrice della linea.

A lungo accusata di fare ingrassare, in difesa della pasta si sono ultimamente levati diversi scudi: spaghetti, penne, linguine - se consumati senza esagerazioni e all’interno di una dieta sana - non sono i responsabili dei chili di troppo messi su. È una conclusione che in fondo molti avranno tratto da soli, ma il continuo additare i carboidrati, soprattutto gli zuccheri semplici, ma anche quelli complessi di pane, pasta, riso, come corresponsabili dell’epidemia di sovrappeso e obesità, ha confuso un po’ le acque. Uno studio di ricercatori canadesi, pubblicato sul British Medical Journal Open, è l’ultimo in ordine di tempo a prendere le difese della pasta.

Con o senza spaghetti. Gli studiosi hanno preso in esame le ricerche già condotte sul tema, selezionando quelle considerate più affidabili - alla fine una trentina - in cui due o più gruppi di persone scelte a caso avevano seguito una dieta che comprendeva la pasta oppure no.

Curiosità: chi ha cucinato i primi spaghetti? © Shutterstock

Nel complesso, i vari studi hanno interessato circa 2.500 persone, seguite per almeno 3 mesi: un campione significativo per trarre qualche considerazione sulle conseguenze dell’alimentazione con o senza pasta. Dalle varie ricerche è emerso che chi la mangiava in media tre volte alla settimana, consumandola all’interno di una dieta a basso indice glicemico, non solo non ha acquistato più peso degli altri, ma è rimasto stabile o è persino leggermente dimagrito.

Fame ritardata. A differenza di altri carboidrati, come il pane bianco o i cereali da colazione, la pasta ha un moderato indice glicemico, cioè contribuisce più lentamente all’innalzamento dei livelli di glicemia nel sangue. Al contrario di quanto si tende a credere, il motivo per cui non contribuisce a fare ingrassare può essere che, con il suo indice glicemico piuttosto basso rispetto ad alimenti come il pane bianco, prolunga il senso di sazietà. In sostanza, dopo un buon piatto di pasta si tende ad avere fame più tardi.

Curiosità: quanti km fai con un kebab? © Fittalerz

Altri studi recenti sono giunti a conclusioni simili. Lo studio Moli-sani, che ha preso in considerazione le abitudini alimentari di circa ventimila italiani, ha per esempio trovato che chi mangia più pasta ha un indice di massa corporea più basso di chi ne consuma meno.

Imparziali? Restano alcune considerazioni da fare prima di buttarsi su un piatto di spaghetti nella speranza di dimagrire.

Una porzione normale di pasta non supera i 70-80 grammi, e a contare molto è come la si condisce. Quanto alla pasta integrale, non è detto che sia migliore, a parte il fatto di essere più ricca di fibre: secondo vari studi non incide sull’indice glicemico né sulla leptina, il cosiddetto ormone della sazietà.

Lo studio canadese, infine, ha valutato il ruolo della pasta nel contesto di una alimentazione a basso indice glicemico: resta da vedere se le conclusioni sono le stesse anche quando la pasta è compresa all’interno di altri tipi di dieta.

Oltre ai consumatori, la questione interessa molto anche i produttori: come hanno correttamente dichiarato gli autori dello studio, tra le sponsorizzazioni dello studio da parte di molti gruppi alimentari compaiono anche nomi come Barilla.

7 aprile 2018 Chiara Palmerini
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