Fino a oggi si è ipotizzato che la dislessia - disturbo neurologico caratterizzato da difficoltà di lettura e scrittura - fosse causata dall'incapacità del cervello di decodificare determinate ed elementari rappresentazioni fonetiche (i suoni) del linguaggio (per esempio la lettera b o la d).
Un nuovo studio, invece, ipotizza che alla base di questo disturbo ci sarebbe una scarsa comunicazione tra le diverse aree del cervello deputate all'elaborazione del linguaggio.
Test linguistici
Bart Boets dell’Università Cattolica di Leuven (Belgio) ha recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Science il risultato del suo esperimento basato su una serie di test linguistici su ripetizioni e comprensione di fonemi su 45 soggetti, dei quali 23 dislessici. Utilizzando la risonanza magnetica per vedere le immagini in 3D dell'attività cerebrale, il ricercatore ha rilevato che il grado di connettività tra le regioni deputate al linguaggio era diverso nei due gruppi: nei dislessici, infatti, risultava più scarsa la comunicazione tra regione frontale e regione temporale.
Nuove cure
Secondo Guinevere Eden del Centro per lo Studio dell'apprendimento presso la Georgetown University di Washington DC «questo studio è importante per elaborare nuove strategie di intervento per correggere la dislessia». Aggiunge Boets: «Si potrebbe intervenire con interventi comportamentali, ma si potrebbero anche utilizzare tecniche di stimolazione cerebrale non invasive, come la stimolazione magnetica transcranica (tecnica non invasiva di stimolazione elettromagnetica del tessuto cerebrale).
I numeri
La dislessia colpisce dal 5-10% della popolazione di Regno Unito e Stati Uniti. In Europa, tra i bambini con disturbo dell’attenzione, i dislessici rappresentano una percentuale compresa tra il 33 e il 45%. Secondo l'Associazione italiana dislessia, in Italia si contano 350 mila alunni italiani dai sei ai 18 anni.