Rimini, 19 nov. (AdnKronos Salute) - Tornano ad aumentare i suicidi nelle carceri italiane. "Se nel 2013 erano scesi al 30% sul totale cause di morte fra i detenuti, la previsione per il 2014 è un ritorno al dato storico del 40%: 2 decessi su 5 in carcere avvengono per suicidio". Lo segnalano il presidente della Società italiana di psichiatria Emilio Sacchetti e il past president Claudio Mencacci, impegnati oggi e domani a Rimini nella Conferenza monotematica Sip 'Mens sana in corpore sano: il benessere come standard di cura in psichiatria'. "Disturbi dell'umore, d'ansia, psicotici e di personalità" sono i problemi di salute mentale più frequenti tra i circa 60 mila ospiti degli istituti penitenziari della Penisola. Malattie che il più delle volte non nascono in carcere - precisano gli esperti - ma che in carcere possono acutizzarsi e peggiorare soprattutto a causa della difficoltà di screening diagnostici e assistenza mirata".
"In ogni regione sono attivi gruppi di prevenzione - sottolinea Mencacci - ma per il suicidio esiste sempre una certa quota di imprevedibilità" e "non si esclude che i dati in materia cambino anche per fluttuazioni casuali", aggiunge Sacchetti. Quel che è certo, purtroppo, "è che in genere in carcere i detenuti trovano tutto ciò che serve per togliersi la vita o anche solo per provarci. Capita infatti che alcuni siano suicidi 'per errore', nati come richiesta d'aiuto che poi sfocia in tragedia".
L'obiettivo della Sip è "portare davvero, a 360 gradi, l'assistenza psichiatrica nelle carceri con un focus sulla prevenzione dei suicidi", spiega Mencacci. Un intervento che "dovrebbe garantire almeno i livelli assistenziali offerti ai pazienti in libertà, altrimenti le celle rischiano di trasformarsi in una polveriera pronta a esplodere", avverte Sacchetti. Ma per un'assistenza costante ed efficace "non basta inviare in carcere per qualche ora gli psichiatri dei servizi territoriali, così come avviene oggi. A causa della carenza negli organici, infatti, si finisce per destinare a questo compito i colleghi più 'deboli', con poca esperienza e contratti temporanei. Dovremmo invece disporre di personale dedicato". Un pool ad hoc, conclude Mencacci, "in grado di iniziare in carcere un percorso pilotato per il recupero di questi pazienti e l'inserimento nei servizi specializzati una volta terminato il periodo di pena. E' questo l'unico modo per non perderli e riportarli alla vita".