Roma, 23 feb. (AdnKronos Salute) - Il federalismo non fa bene alla salute dell'Italia, che si conferma divisa nell'accesso alle cure. Quasi un cittadino su 10 rinuncia a curarsi per motivi economici e liste di attesa; la prevenzione si fa a macchia di leopardo, con un Sud che arranca e regioni come Lazio e Veneto che fanno passi indietro rispetto al passato. Altrettanto diversificato di regione in regione l’accesso ai farmaci innovativi, soprattutto per il cancro e l'epatite C. E' quanto emerge dall'Osservatorio civico sul federalismo in sanità di Cittadinanzattiva, presentato oggi a Roma.
E nelle Regioni in cui il cittadino sborsa di più, per effetto dell’aumento della spesa privata per le prestazioni e della tassazione, i livelli essenziali sono meno garantiti che altrove. "E' ora di passare dai piani di rientro dal debito ai piani di rientro nei Livelli essenziali di assistenza, cruciali per la salute dei cittadini e la riduzione delle diseguaglianze", sottolinea Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva.
La spesa sostenuta privatamente dai cittadini per prestazioni sanitarie in Italia è al di sopra della media Ocse, 3,2% a fronte del 2,8%. In generale le Regioni alle prese con il Piano di rientro, e la Campania in particolare, sono quelle che, a fronte di una minore spesa pubblica e privata e di una elevata tassazione, danno meno garanzie ai cittadini nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, si sottolinea.
Liste di attesa e ticket si confermano i principali ostacoli per curarsi con la sanità pubblica. Un cittadino su quattro, fra gli oltre 26 mila che si sono rivolti al Tdm nel 2015, segnala difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie per liste di attesa (oltre il 58%) e per ticket (31%). A lamentarsi di più sono i residenti in Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Sicilia, Trento, Bolzano e Veneto. Va ancora peggio a quel 7,2% dei residenti costretto proprio a rinunciare a curarsi: il 5,1%, ovvero circa 2,7 milioni di persone, lo ha fatto per motivi economici, a cui seguono le liste d’attesa. Questo accade soprattutto al Sud (l'11,2% dei residenti rispetto al 7,4% del Centro e al 4,1% del Nord).
Su un campione di 16 prestazioni sanitarie, i tempi minimi di attesa si registrano tutti nel Nord Est o Nord Ovest, i tempi massimi, in 12 casi su 16, sono segnalati al Centro. Nel Sud, in particolare in Puglia e Campania, i cittadini ricorrono più di frequente agli specialisti privati per aggirare il problema delle liste troppo lunghe nel servizio pubblico.
Anche sui ticket - evidenzia il Tdm - sono notevoli le differenze regionali: sulle stesse 16 prestazioni i ticket più bassi nel pubblico si pagano prevalentemente nel Nord Est (per 10 su 16 prestazioni), quelli più elevati al Sud (per la metà delle prestazioni). Nel 2014 si sono registrati un +4,5% dei ticket sui farmaci e -2,2% sulla specialistica. Ogni anno gli italiani pagano, in media, oltre 50 euro a testa come quota di compartecipazione in tutte le Regioni del Nord e del Centro, con punte vicino ai 60 euro in Veneto e Valle D’Aosta, e in media 42 euro al Sud.
Il federalismo mette a rischio anche la sicurezza. Sui punti nascita, per esempio, gli standard ministeriali sono rispettati a macchia di leopardo. Su 531 centri attivi nel 2014, 98 effettuano ancora meno di 500 parti l'anno, la soglia minima di sicurezza. Su 16 Regioni prese in esame dal documento 'Verifica ed Adempimento Lea', 6 risultano inadempienti (Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Abruzzo); 5 adempienti solo con impegno (Piemonte, Emilia Romagna, Molise, Basilicata). Tra le Regioni che hanno trasmesso il report sulla presenza di punti nascita con meno di 500 parti l'anno, la Basilicata ne ha attivi 3, l’Emilia Romagna 7, il Lazio 6, La Puglia e la Lombardia 9.
Il Sud arranca anche sulla prevenzione. Su 16 Regioni monitorate dal ministero della Salute nel 2013 su questo fronte, la metà risulta in linea con le indicazioni del ministero: Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Toscana, Umbria e Veneto. Ma rispetto al passato peggiorano Basilicata, Liguria e Veneto. E fra le otto inadempienti (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia), fanno ulteriori passi indietro Puglia, Sicilia, Calabria e Campania. In particolare, solo Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria, Provincia Autonoma di Bolzano e Valle d’Aosta raggiungono il 95% per le vaccinazioni obbligatorie infantili.
Nel 2013 sono stati inviati oltre 11 milioni di inviti per partecipare ai tre programmi di screening oncologici organizzati (seno, colon retto, cervice uterina): meno della metà si è sottoposto agli esami e l’adesione rimane critica al Sud. Infine, le regioni meridionali 'vantano' una minore attenzione al trattamento del dolore.