Roma, 24 nov. (AdnKronos Salute) - Emergenza a lieto fine all'ospedale Sacco di Milano per una bimba con diabete, salvata con acqua e sale, dai medici. Non è andata altrettanto bene a un bambino di Genova lo scorso anno. La malattia uccide ancora bambini in Italia. Genitori, insegnanti e medici spesso non riconoscono e non intervengono correttamente contro la chetoacidosi, la grave complicanza con cui si manifesta spesso per la prima volta la malattia diabetica, che provoca lesioni celebrali anche fatali. Un tema affrontato XX Congresso nazionale Siedp, Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica, in programma da domani fino al 27 novembre a Roma.
La storia di Giulia è emblematica. "E' una bimba milanese di 22 mesi - spiegano i medici - quando giunge, a fine ottobre, in condizioni di salute gravi presso al pronto soccorso di un ospedale vicino Milano. La bimba è sonnolenta, vomita, il suo stato di coscienza si deteriora progressivamente e il respiro diventa sempre più difficoltoso. I medici nel sospetto di diabete infantile eseguono un esame delle urine e controllano la glicemia: viene confermato il sospetto e quindi decidono di iniziare l’infusione di soluzione fisiologica (acqua e sali) e contemporaneamente insulina per ridurre la glicemia. E’ un errore grave, i due trattamenti devono essere conseguenziali non contestuali, ora c’è pericolo di lesione cerebrale che metterebbe a rischio la vita di Giulia".
Le condizioni della bambina peggiorano rapidamente: a questo punto viene allertato il pronto soccorso pediatrico dell’ospedale Luigi Sacco dove la bimba giunge in condizioni critiche. "Bisognava fare in fretta, correre", racconta Andrea Scaramuzza, responsabile del servizio di diabetologia, malattie del metabolismo e nutrizione del Sacco. "L'unica terapia - aggiunge il medico - è la somministrazione fisiologica. Abbiamo continuato la reidratazione per 2 ore prima dell'insulina. In questo modo l’organismo ha avuto il tempo per riprendersi gradualmente. Dopo 36 dal suo arrivo al Sacco, avendo seguito con rigore il protocollo terapeutico e le Linee guida recentemente pubblicate da Siedp, Giulia torna ad essere quella bimba sorridente che è sempre stata nonostante la diagnosi di diabete".
"Il pediatra, il personale scolastico, gli educatori, la famiglia - dice Scaramuzza - devono pensarci se un bambino beve troppo rispetto alle sue abitudini e se fa tanta pipì, se riprende a fare pipì di notte, se dimagrisce senza motivo potrebbe avere il diabete e vanno fatti gli esami opportuni. Una volta fatta la diagnosi se si è di fronte ad una chetoacidosi (bimbo sonnolento, rallentato, respiro rumoroso, alito che sa di frutta marcia) vanno seguite le raccomandazioni delle Società scientifiche.
Approcci terapeutici differenti possono mettere il bambino a rischio di danni permanenti, ma anche di vita".
Infatti se la vicenda di Giulia è a lieto fine, non altrettanto può dirsi per un ragazzo che lo scorso anno è morto a Milano per il diabete infantile e lo stesso è accaduto ad un bambino a Genova.
"Negli ultimi anni sono morti in Italia diversi bambini per complicanze del diabete infantile che possono provocare lesioni cerebrali fatali", conclude Mohamad Maghnie, presidente Siedp. "L’edema cerebrale associato alla chetoacidosi si sviluppa generalmente dalle 4 alle 12 ore dopo l’inizio del trattamento di urgenza, anche se ci sono casi in cui si presenta sin dall’esordio o fino a 24-48 ore dall’inizio del trattamento".