Roma, 31 ago. (AdnKronos Salute) - Si parte il 7 settembre in Trentino Alto Adige, il 15 nel Lazio e il 16 in Puglia e Veneto: saranno quasi 8.000.000, e oltre 700.000 nel solo Lazio, i bambini e i ragazzi che torneranno sui banchi di scuola. Un piccolo esercito di alunni accompagnati da timori, speranze, curiosità e apprensioni da parte dei genitori. Per aiutare le famiglie, ma anche gli insegnanti, ad affrontare con serenità il nuovo anno, gli esperti dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma hanno indagato sul cambiamento nel rapporto genitori-insegnanti e su come questo abbia influenzato l’atteggiamento dei figli nei confronti dell’istituzione scolastica.
"Negli ultimi decenni la scuola ha visto grandissime trasformazioni, non solo per le varie riforme del sistema scolastico, e per i cambiamenti nella società, ma anche per soggiacenti cambiamenti nelle dinamiche individuali e nelle relazioni interpersonali. Non ci sono più o quasi - riflette Luigia Milani, psicologa del Bambino Gesù - i professori che fanno paura, in parte perché è stato messo in discussione il modello autoritario di una volta".
Capita, quindi, che a volte gli insegnanti sentano messa in discussione la loro autorità e siano criticati, per esempio, in caso di brutti voti. La situazione in realtà è molto complessa. Ci sono situazioni nelle quali si trovano insegnanti non preparati a gestire bambini con difficoltà (come, per esempio, i disturbi di apprendimento), così i genitori sono costretti a documentarsi per far documentare gli insegnanti, con la speranza che questo aumenti la loro disponibilità, e capita che la mancata comprensione da parte dell’insegnante abbia un impatto traumatico sul bambino.
Ci sono anche situazioni, però, nelle quali alcuni genitori non ammettono possibili insufficienze o voti bassi del figlio. Come mai? A volte il brutto voto è giustificato, ma è il genitore che ha difficoltà ad accettare un giudizio meno buono sul proprio figlio, vivendolo come, forse, un giudizio totale negativo. "Viviamo in una società nella quale, spesso per necessità, entrambi i genitori sono impegnati per buona parte della giornata, e quindi hanno minore possibilità di seguire i figli nella scuola - sottolinea Milani - Questo comporta, però, un cambiamento profondo".
"Ci sono sensi di colpa e di inadeguatezza da parte dei genitori, che possono portare a vedere nell'insegnante più un nemico che un alleato nell’educazione del figlio, e nel figlio una parte di sé vulnerabile e bisognosa di protezione rispetto all’esterno. Tutto ciò ha, però, ripercussioni sul bambino: questo sentirsi 'difeso a spada tratta' - assicura - non ha solo una valenza positiva, in quanto gli fa sentire i genitori come alleati.
Se la difesa è eccessiva e incondizionata, i genitori vengono infatti percepiti come alleati acritici, poco attenti a quello che realmente è" il figlio. "E soprattutto non lo guidano ad accettare i propri limiti e a lavorare per superarli".
Il messaggio che arriva, proseguono gli esperti, rischia cioè di essere quello di non avere limiti, spostando la 'cattiveria' sull’esterno, su chi li dà. Questo è in linea con la direzione che sta prendendo la nostra società, sempre più verso un culto narcisistico della persona. Il problema "non è di facile soluzione, perché la scuola è una realtà molto complessa, dove convergono elementi psicologici, sociali, ambientali; anche gli insegnanti vivono momenti difficili: non tutti, nonostante questo, riescono a conservare la motivazione e la passione per questo lavoro". Cosa fare, dunque? "Sarebbe bene tener presente il più possibile la necessità di mantenere un 'triangolo amoroso', formato dall’insegnante, dal genitore e dal bambino o ragazzo, dove ognuno collabori con gli altri per il progetto educativo".