Roma, 30 ago. (AdnKronos Salute) - Nel 2015 sono approdati in Europa 700 mila tra migranti e rifugiati e già al loro arrivo il 5% ha bisogno di assistenza medica. Inoltre il cambio di alimentazione, stile di vita e le condizioni di povertà li espongono a rischi per la salute in generale e per la salute del cuore in particolare. Il tutto in assenza di programmi di prevenzione mirati. Se ne è parlato oggi all'Esc 2016 in corso a Roma, dove il Dipartimento di medicina interna dell'Università di Pavia ha presentato uno studio sulla prevalenza dell'ipertensione in un gruppo di italiani e di migranti per un totale di 6.027 soggetti volontari, sottoposti a intervista medica, misurazione del peso, altezza, pressione sanguigna, e analisi delle urine durante la Giornata nazionale del rene nel 2012 e nel 2013.
I ricercatori hanno tentato di rappresentare la proporzione nazionale tra residenti e migranti, identificando 145 soggetti, pari al 7% del campione. Si è subito evidenziata un'ampia eterogeneità degli stranieri, con 53 nazionalità differenti tra Europa dell'Est (38,2%), Nord Africa (17,65%), Centro e Sud Africa (12,9%), America Latina (12,8%) e sub continente indiano (9,6%). La distribuzione di genere e l'indice di massa corporea era paragonabile nei due gruppi esaminati. Ebbene, nonostante i 10 anni di differenza di età - in media 50 anni per gli italiani contro 41 anni dei migranti - la prevalenza di ipertensione era simile in entrambi i gruppi (44,7% degli italiani contro il 43,4% dei migranti), e quando il campione veniva stratificato per età la prevalenza aumentava di almeno il 10% negli stranieri in ogni decade osservata.
"I risultati di questa ricerca fanno pensare che nei prossimi anni aumenterà inevitabilmente la necessità di provvedere a monitoraggio e trattamento delle malattie vascolari in un sistema sempre più multietnico ed integrato", osserva Michele Gulizia, direttore della Cardiologia dell'Ospedale Garibaldi di Catania.
"Desidero sottolineare come sia urgente - evidenzia l'esperto - pensare a come rispondere ai bisogni di popolazioni speciali dal punto di vista sociale, culturale ed economico, ad esempio con programmi di prevenzione e screening che possano raggiungerli efficacemente. In quest'ottica nello scorso giugno ho iniziato un rapporto di collaborazione con le società nazionali di cardiologia e i referenti dei ministeri della Salute di Egitto, Croazia, Marocco, Kosovo e Libano, estendendo loro il progetto di prevenzione cardiovascolare Banca del Cuore e l'uso estensivo della 'BancomHeart' per l'anagrafe cardiovascolare dei loro connazionali".