Roma, 5 dic. (AdnKronos Salute) - Nascere in Italia sta diventando sempre più difficile. La denatalità è infatti un dato ormai strutturale del nostro Paese, che presenta uno dei tassi di natalità più bassi a livello europeo (8,5 bambini nati per 1.000 abitanti). Nel 2013 si è raggiunto il minimo storico dei nati (514.308) dopo il massimo relativo di 576.659 del 2008: una riduzione di circa 62.000 nati. E' quanto emerge dal 48esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014, che ha anche analizzato le causa di questa scarsa propensione degli italiani ad avere figli. Ebbene, per oltre 8 cittadini su 10 a pesare sono motivi economici.
Se l'83,3% degli italiani è convinto che la crisi economica abbia un impatto sulla propensione alla procreazione, rendendo la scelta di avere un figlio più difficile da prendere anche per chi lo vorrebbe, questa quota raggiunge il 90,6% proprio tra i giovani fino a 34 anni, che sono contemporaneamente coloro che più subiscono l'impatto della crisi e nello stesso tempo dovrebbero essere i protagonisti delle scelte di procreazione.
Un aspetto importante che emerge dal Rapporto del Censis è quello relativo alla riduzione del numero di donne in età fertile, sia italiane che straniere. Ad oggi le donne fertili dai 15 ai 30 anni sono circa 4,9 milioni, poco più della metà delle circa 8.660.000 che hanno dai 31 ai 49 anni. Inoltre, questo numero progressivamente sempre minore di donne fertili tende a fare figli sempre più tardi (l'età media al parto di 31,4 anni è tra le più alte in Europa), riducendo così nei fatti la fertilità e la possibilità di avere figli, soprattutto oltre il primo e il secondo.
A confermare questa tendenza a ritardare la procreazione è la recente indagine del Censis sulla fertilità, dalla quale emerge che per il 46% degli italiani una donna che vuole avere figli dovrebbe cominciare a preoccuparsi di non averne non prima dei 35 anni, come segnale ulteriore di un modello sociale segnato dalla tendenza a procrastinare tutti i momenti di passaggio alla vita adulta.
Al Sud si registra una natalità più bassa di quella del Nord e del Centro. Si tratta - si legge nel Rapporto - di un'area che gode meno dell'effetto compensatorio della fecondità delle straniere e a questo aspetto vanno associati fattori strutturali legati al quadro di incertezza occupazionale ed economica che contribuiscono certamente a una profonda revisione anche dei modelli culturali relativi alla procreazione.
Gli indicatori di precarietà della condizione lavorativa, come la quota di occupati a tempo determinato e collaboratori da almeno cinque anni, così come quella dei dipendenti con bassa paga, evidenziano in modo netto la condizione più problematica dei residenti al Sud.
Inoltre, il tasso di disoccupazione per i 25-34enni del Mezzogiorno sfiora il 30% e quello femminile totale il 21,5% contro il 9,5% del Nord.